Ascoltare la sua musica è quasi come
trovarsi all’interno di una grande cattedrale”, ha detto Benedetto XVI dopo
aver ascoltato la Sinfonia n. 9 e il Te Deum di Anton Bruckner, sabato 22
ottobre, nel concerto offertogli dall’Orchestra di Stato della Baviera.
Ed è proprio nella cattedrale di San Giovanni in Laterano e
nelle altre basiliche papali di Roma che la Fondazione Pro Musica e Arte Sacra
ambienta nei prossimi giorni la decima edizione del suo annuale Festival di
musica sacra, che farà tra l’altro ascoltare un’altra Sinfonia di Bruckner, la
n. 7, eseguita il 27 ottobre dai Wiener Philarmoniker con la direzione di
Georges Prêtre.
Il nutrito programma del Festival è nel sito della Fondazione, la cui
opera benemerita si esplica anche nel restauro delle basiliche romane.
È con il suo contributo che è in corso il ripristino esterno
della basilica di San Pietro, così come è stato appena restituito a splendore
il mausoleo “dei Marci”, uno degli edifici sepolcrali più stupendi della
necropoli vaticana sottostante alla basilica, con la tomba dell’apostolo
Pietro.
“Musica sacra e basiliche papali. A questo binomio – dice il
presidente della Fondazione, Hans-Albert Courtial – corrisponde il doppio
proposito di ospitare nelle basiliche un programma musicale di elevata qualità
e di abbellire queste stesse basiliche con opportune opere di restauro. Musica,
architettura e liturgia fanno tutt’uno nel rendere gloria a Dio, e la loro
magnificenza deve essere il riflesso di quella eterna liturgia che si celebra
in cielo”.
Non a caso il festival si apre e chiude con delle messe
solenni in San Pietro, accompagnate da esecuzioni musicali di alto livello.
Ma torniamo a Bruckner e al commento che ne ha fatto
Benedetto XVI, non nuovo a exploit da vero critico musicale, dopo aver
ascoltato la Sinfonia n. 9 e il Te Deum.
*
L’INCOMPIUTA DI BRUCKNER
di Benedetto XVI
Quando, l’11 ottobre 1896, Bruckner morì, stava ancora
scrivendo la sua nona sinfonia, iniziata quasi 10 anni prima. Sentiva,
ricordando Beethoven e Schubert, che si trattava del suo “testamento
sinfonico”, ed effettivamente – come sappiamo – non riuscì mai a completarne il
quarto tempo, lasciando il suo lavoro incompiuto.
Il sinfonismo bruckneriano si stacca dal modello classico,
il suo discorso musicale si sviluppa per grandi blocchi accostati, sezioni
elaborate e complesse non delimitate in modo chiaro, ma separate molto spesso
da semplici episodi di collegamento, come pure da pause.
Ascoltare la sua musica è quasi come trovarsi all’interno di
una grande cattedrale, osservando le grandiose strutture portanti della sua
architettura, che ci avvolgono, ci spingono in alto e creano emozione.
C’è però un aspetto che è alla base della produzione di
Bruckner sia sinfonica che sacra: la sua fede, semplice, solida e genuina,
conservata per tutta la vita tanto da voler essere sepolto nella chiesa
dell’Abbazia di Sankt Florian, nella cripta, sotto il possente organo, che
aveva suonato molte volte.
Confrontandolo con un altro esponente del tardo
romanticismo, il grande direttore d’orchestra Bruno Walter affermava: “Mahler
fu sempre alla ricerca di Dio, mentre Bruckner lo aveva trovato”. E la sinfonia
che abbiamo ascoltato ha un titolo preciso “Dem lieben Gott”, “Al buon Dio”,
quasi egli avesse voluto dedicare e affidare l’ultimo e maturo frutto della sua
arte a Colui nel quale aveva sempre creduto, ormai l’unico e vero interlocutore
a cui rivolgersi, giunto all’ultimo tratto dell’esistenza.
E si percepisce un senso di continua attesa in tutta la
sinfonia che abbiamo ascoltato, tempi dilatati che ci aprono e ci guidano in
una dimensione misteriosa, quasi atemporale; dal primo tempo, caratterizzato
dall’indicazione “Feierlich-misterioso”, fino all’adagio, che inizia con un
grandioso gesto dei primi violini e si sviluppa in una ascesa progressiva verso
l’alto con un alternarsi di momenti luminosi, di improvvisi silenzi, di sezioni
timbriche isolate, di sonorità organistiche, di corali, di esplosioni di suono,
di sereni cantabili, fino a giungere alla pacata, radiosa conclusione in mi
maggiore.
È significativo che in questo ultimo tempo siano inserite
quattro note del “miserere” dal Gloria della sua Messa in re minore, e che vi
siano reminiscenze del “Benedictus” da un’altra sua Messa, quella in Fa minore.
Bruckner chiedeva al buon Dio di poter entrare nel suo mistero, di poter
ascendere alle sue altezze, di poter lodare in cielo il Signore come aveva
fatto in terra con la sua musica.
“Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur”: questa opera
grandiosa che abbiamo ascoltato, scritta di getto e rielaborata lungo 15 anni
quasi a ripensare come ringraziare e lodare meglio Dio, sintetizza la fede di
questo grande musicista, ripetuta nella grande doppia fuga finale: “In te,
Domine speravi: non confundar in aeternum”.
Un richiamo anche a noi ad aprire gli orizzonti e pensare
alla vita eterna, non per sfuggire dal presente, anche se segnato da problemi e
difficoltà, ma piuttosto per viverlo ancora più intensamente, portando nella
realtà in cui viviamo un po’ di luce, di speranza, di amore.