martedì 9 ottobre 2012
Musica colta
La musica classica (etimologicamente: "musica che serve da modello", "che pone le basi") è la musica colta occidentale composta in quella stagione creativa che va dall'undicesimo secolo fino ai primi anni del Novecento.[1]
A differenza degli altri tipi di arte (pittura, scultura, ecc...), quindi, nella storia della musica il periodo classico non indica l'età antica greco-romana.
I confini della categoria sono tuttavia imprecisi e opinabili, in quanto il marchio di classicità viene in genere assegnato dai posteri; dunque, ciò che oggi si definisce classico non lo era ai tempi in cui venne composto.
Indice [nascondi]
1 Periodi, stili, e protagonisti
2 Voci correlate
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri progetti
6 Collegamenti esterni
Periodi, stili, e protagonisti [modifica]
Montaggio di grandi compositori di musica classica.
Da sinistra a destra:
prima fila - Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel, Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven;
seconda fila - Gioachino Rossini, Felix Mendelssohn, Fryderyk Chopin, Richard Wagner, Giuseppe Verdi;
terza riga - Johann Strauss II, Johannes Brahms, Georges Bizet, Pëtr Il'ič Čajkovskij, Antonín Dvořák;
quarta fila - Edvard Grieg, Edward Elgar, Sergei Rachmaninoff, George Gershwin, Aram Khachaturian.
Si può dividere la musica classica in diversi periodi e stagioni, ognuno con le sue figure rappresentative:
musica medievale (dall'undicesimo secolo fino al Quattrocento): la figura più importante fu sicuramente quella di Guido d'Arezzo, il primo a dare un nome alle sette note musicali; il pentagramma fu invece introdotto da Ugolino Urbevetano da Forlì;
musica rinascimentale (tra Quattrocento e Cinquecento), il cui esponente principale fu Giovanni Pierluigi da Palestrina;
musica barocca (Seicento e prima metà del Settecento): Claudio Monteverdi, Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel, Johann Pachelbel, Antonio Vivaldi, Marc-Antoine Charpentier, Jean-Joseph Mouret, Henry Purcell e Arcangelo Corelli;
classicismo (seconda metà del Settecento, con grande sviluppo a Vienna, tanto che si parla di classicismo viennese): i nomi maggiormente conosciuti furono quelli di Franz Joseph Haydn, Wolfgang Amadeus Mozart, e Ludwig van Beethoven, quest'ultimo considerato di transizione con il successivo periodo romantico;
musica romantica (Ottocento, con coda nei primi del Novecento), divisibile a sua volta in due periodi, assimilabili più o meno alle due metà del secolo:
il primo romanticismo, con Giuseppe Verdi, Richard Wagner, Robert Schumann, Franz Liszt, Fryderyk Chopin, Felix Mendelssohn, Franz Schubert, Niccolò Paganini, Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini, e Gaetano Donizetti;
il tardo romanticismo, con Johannes Brahms, Giacomo Puccini, Antonín Dvořák, Gustav Mahler, Richard Strauss, Pëtr Il'ič Čajkovskij, Georges Bizet, Bedřich Smetana, Edvard Grieg, Edward Elgar, e Sergei Rachmaninoff.
Non fa invece parte della musica classica la musica colta composta a partire dal Novecento, ovvero la musica contemporanea, benché essa sia a volte chiamata erroneamente musica classica contemporanea
giovedì 31 maggio 2012
La musica di corte nel rinascimento
Introduzione storica
Tra il '300 e il '400 importanti avvenimenti politici e culturali cambiarono il volto dell'Europa. E' proprio in questo periodo che si afferma infatti la cultura Umanista, che non pone più Dio al centro dell'universo ma l'uomo. Tutto questo fenomeno portò ad una rinascita culturale e sociale della civiltà cittadina che si evidenziò soprattutto tra la fine del '400 e nel '500; questo periodo prende il nome di Rinascimento.
La musica di corte
Nel Rinascimento la musica profana non solo ebbe piena dignità d'arte, ma acquistò un significato spirituale. Ma la musica profana fu soprattutto musica di corte, legata ad una nuova aristocrazia ricca e colta; fu in questo periodo che si sviluppò la figura del mecenate, ovvero colui che si circonda di artisti e li mantiene in cambio della loro presenza e dei loro servigi. Per tutto il Rinascimento le corti italiane furono il centro della vita musicale europea e il punto d'incontro per tutti i musicisti d'Europa,che allietavano con le loro composizioni, tutti i momenti salienti: feste banchetti, ricevimenti ,ecc…..
Gli strumenti musicali nel Rinascimento
Nel Rinascimento si è visto principalmente un notevole sviluppo della musica vocale, ma anche l'evoluzione di certi strumenti utilizzati nel medioevo; è infatti in questo periodo che strumenti sia a corda che a fiato si perfezionano e vanno a formare varie famiglie, nelle quali lo strumento è presente in varie dimensioni e timbri. Nel Rinascimento la scelta degli strumenti necessari all'esecuzione di un brano non era fatta in precedenza ma al momento dell'esecuzione,in base al luogo, al numero dei musicisti e agli strumenti a disposizione. Gli strumenti erano suddivisi in 3 classi: strumenti a fiato, a corda e a tastiera.
Strumenti a fiato
Bassanello: strumento a fiato con canneggio cilindrico, ad ancia
doppia con 6 fori e una chiave (usato nel '500).
Bombarda: strumento ligneo a fiato usato principalmente durante il periodo rinascimentale. Ha in genere 7 fori, l'ultimo dei quali è chiuso da una chiave, un corpo sottile e una forma concava.
Cornamusa: è costituito da una sacca di pelle di pecora alla quale una canna corta o un soffietto per l'insufflazione dell'aria e una o più canne sonore, ad ancia semplice o doppia. Uno dei tubi è munito di fori digitali e serve per eseguire la melodia; gli altri fungono da accompagnamento o bordone.
Cornetto: era costituito da un tubo di legno o avorio leggermente ricurvo, ricoperto di pelle o di pergamena, terminami con un'apertura a sezione ottagonale; erano presenti 6 fori e un bocchino separato.
Cromorno: strumento a fiato a forma ricurva, ad ancia incapsulata, con canna cilindrica e 6 o 7 fori.
Dulciana: detta anche dolciana è uno strumento di origine rinascimentale ad ancia doppia, antecedente al moderno fagotto.
Flauto dolce: è costituito in legno con imboccatura a becco. Una caratteristica
dei flauti molto grandi è la presenza di leve terminanti in un tampone di cuoio,
che hanno la funzione di otturare i fori lontani. Questo primo tipo di chiave era
detta 'aperta' per distinguerla da un altro tipo di chiave più recente detta 'chiusa'.
Flauto traverso: era di legno ed aveva una forma cilindrica ed era suddiviso
in quattro taglie che formavano una famiglia.
Racket: era formato da un cilindro di legno o avorio rivestito e forato internamente
da 9 o 10 canali paralleli, comunicanti con il primo canale. Il cannello e una parte
dell'ancia scompaiono all'interno di un pezzo d'avorio che serve come protezione;
10 o 13 fori esterni per le dita erano posti in corrispondenza dei canali interni.
Schryari: lo si può definire come una sorta di rudimentale fagotto.
Sordone: è ricavato da un unico pezzo di legno ed è munito di un foro laterale che gli serve da padiglione.
Trombone: è formato da due tubi rettilinei e paralleli, uniti fra loro alla
base da un altro tubo, quest'ultimo ripiegato e capace di scorrere sui primi
due. La coulisse e i tubi rettilinei formano infatti un tubo unico la cui
lunghezza può variare.
Strumenti a corda
Arpa: durante il Rinascimento, l'arpa, sul continente rimane diatonica, distinguendosi
così dalla piccole arpa gallese, che era cromatica già dal medioevo; nel XVI secolo si
arricchisce di numerose corde.
Cetra: strumento a corde pizzicate, formato da un fondo piatto e un manico allungato con corde metalliche doppie che avevano la caratteristica di essere legate nella parte inferiore non su una barra fissata alla tavola, ma sulla fascia inferiore.
Chitarra: diffusa nel XVI secolo con 4 corde, si arricchisce più tardi di
un'ulteriore corda.
Giga: strumento di origine medioevale a 3 o 4 corde; nel XVI secolo la giga si suddividerà in 4 strumenti di diverso registro: soprano, contralto, tenore e basso.
Lira da braccio: la lira da braccio aveva conservato la cavigliera
diritta dell'antica viella; essa era a forma di cuore ed era forata dai
piroli. La lira da braccio possedeva 5 corde di cui le due più gravi erano poste al di fuori dal manico e fungevano da bordoni.
Liuto: il liuto propriamente detto possiede una cassa a forma di mezza pera prolungatesi in un manico che termina con una cavigliera ad angolo retto. In origine il liuto possedeva 4 corde semplici e accordate per una successione di una quarta, una terza e ancora una quarta.
Verso il 1350 ogni corda verrà raddoppiata per rinforzare la sonorità. Nel 1400 circa
verrà introdotta una quinta corda, semplice; più tardi, nel 1500 verrà effettuata
l'ultima modifica, consistente nell'aggiunta di una sesta corda doppia.
Ribeca: generalmente ha 3 corde ed una forme molto simile al rabab arabo. Veniva suonata con un arco molto corto e a forma di vero arco.
Tromba marina: intorno al 1500 adotterà il pirolo laterale in luogo di quello frontale; nei decenni successivi, esso sarà dotato di un ponticello sempre più asimmetrico in luogo a quello di piedi uguali.
Vihuela: è uno strumento a corde pizzicate simile a una chitarra. Veniva suonato con un plettro, con un arco o anche con le dita. A partire dal XVI secolo verrà dotata di 5 corde doppie e una corda semplice con la stessa accordatura.
Viola (da braccio o da gamba): deriva dalla piccola viella e adotterà degli incavi a
semicerchio che sembra la dividano in due, e la cavigliera piegata all'indietro. La tavola
e il fondo sono leggermente convessi e circondati da filetti intarsiati lungo i fianchi;
la parte superiore della cassa è arrotondata e non a punta e le estremità degli incavi
semicircolari si prolungano a forma di becco. La viella da braccio possedeva 4 corde
mentre quella da braccio ne aveva 6 o 7.
Strumenti a tastiera
Clavicembalo: strumento a tastiera a corde pizzicate, con una cassa armonica a forma di arpa disposta orizzontalmente. Il suono è prodotto da un salterello munito di un becco di penna di corvo o di cuoio indurito che, azionato da un tasto, pizzicale corde tese sopra la cassa armonica.
Clavicordo: è costituito solitamente da una cassa armonica rettangolare, di limitate dimensioni, all'interno della quale sono tese le corde; il suono si ottiene percuotendo le corde con le lamine di ottone azionate dai tasti.
Organo: il suo complesso di canne era racchiuso in una cassa si legno posta sulla stessa tribuna e alle spalle dell'organista. Verso la fine del XV secolo vennero introdotte delle canne chiuse, della canne a forma conica capovolte, ed infine dei registri ad ancia.
Regale: tipo di organo portativi di dimensioni ridotte e formato di soli registri ad ancia. L'immagazzinamento e l'espulsione dell'aria verso le ance avviene per mezzo di due mantici sollevati e abbassati alternativamente da un aiutante che si trova di fronte all'esecutore.
Spinetta: varietà di clavicembalo di dimensioni ridotte, con un solo manuale, e
disponeva di un'unica corda per ogni tasto e, priva di gambe, veniva appoggiata
sopra un mobile.
Virginale: strumento affine alla spinetta e quindi al clavicembalo.
Strutturalmente si differenzia dalla spinetta per la cassa rettangolare, per
la disposizione della tastiera e delle corde, leggermente oblique.
Personaggi dei Promessi Sposi
Renzo
Giovane che, nato e cresciuto nel limitato ambiente del suo paese, conosce la vita solo nei suoi aspetti più semplici e consueti, la fatica del lavoro e la forza degli affetti. Rimasto orfano in giovane età, è abituato a badare a se stesso e si è creato un onesto lavoro, una sicurezza per sé e per la sposa prescelta, Lucia. Di indole buona, ha tuttavia un temperamento impetuoso, incline a scatti e a ribellioni improvvise, che hanno però la durata dei temporali di maggio, che presto vengono e presto si dissipano. Si tratta di esuberanza, più che di prepotenza. Renzo non è privo di una naturale intelligenza e furbizia che lo aiutano nei momenti critici ma che forse non bastano quando si trova immerso nei problemi al di fuori del suo paesello, perso tra le mura della città. Renzo è incline a giudicare il prossimo con ottimismo, ma quando è sicuro di essere oggetto d'ingiustizie si ribella, mettendo in moto la sua scaltrezza. Contro il rivale, Don Rodrigo, si scaglia furiosamente, ma alla fine il suo equilibrio e la sua fede in Dio lo inducono a perdonare.Lucia
Giovane donna, le cui caratteristiche, fisiche e morali, sono tra le meno appariscenti che ci sia dato attribuire ad un soggetto umano ed a un personaggio di romanzo. Lucia non è passiva come potrebbe sembrare, ella si oppone con tanta forza a tutto ciò che la sua coscienza nopn può approvare in modo attivo, agendo in una direzione sola, quella del bene, usando le armi della fede, della preghiera e del lavoro. Ragazza umile, del popolo, alla quale la modesta origine non impedisce di albergare nell'animo una nobiltà di sentimenti e di ideali a fare invidia a persone di più alta nascita e cultura, ella è conscia dei suoi doveri di donna e di cristiana, che una strana sorte ha portato in mezzo ad una serie di loschi intrighi, di terribili vicende. Sensibile al richiamo degli affetti e alla voce della nostalgia, preda della paura nei momenti più drammatici, non si abbandona mai alla disperazione, ma istintivamente trova dentro di sé le risorse per riacquistare l'equilibrio e la pace dello spirito.Agnese
Tipo medio di donna in età, come è possibile trovarne nei paesi lombardi. Il suo carattere deciso e sbrigativo, unito ad un'esperienza di vita che forse ella sopravvaluta, la porta ad una sicurezza di giudizio che non sempre si rivela esatta; la sua sollecitudine e l'amore per la figlia Lucia, velati da un riserbo proprio delle persone abituate ad una vita semplice e ridotta ai valori essenziali, la sua facilità di parola e la sua spontaneità, costituiscono un marchio inconfondibile. Profilo vivo e veritiero, riesce subito simpatica per la sollecitudine con cui si dispone ad aiutare la figlia nel raggiungimento della sua felicità. Anche se, spinta da troppa sicurezza, è portata a vedere solo una faccia della realtà, il suo ottimismo la induce ad escogitare sempre nuove soluzioni per far trionfare la giustizia e il bene di Lucia.Padre Cristoforo
Frate cappuccino del convento di Pescarenico, poco distante dal paese dei due promessi sposi, egli è la guida spirituale cui si affida Lucia. La sua indole ribelle, ma al tempo stesso generosa è già delineata fin da quando, non ancora frate, porta il nome di Lodovico. Abituato sin da giovane all'agiatezza e al lusso, cresce alimentando un'abituale fierezza che lo porta, come il padre, a scagliarsi contro l'ostilità del mondo aristocratico e vanesio, conducendo una guerra aperta contro i suoi rivali e schierandosi a fianco dei deboli che avessero subito da essi un sopruso. Questo suo atteggiamento lo porterà al famoso duello dal quale uscirà con la convinzione della sua vocazione. La figura del frate grandeggia, non come quella di un essere superiore, ma come quella di un uomo tra gli uomini, che ha vissuto le sue esperienze e ha formato il suo carattere proprio in mezzo al complicato mondo seicentesco. In lui, immagine viva e vera, si può vedere il simbolo dell'eterna lotta tra il bene e il male, tra forza materiale e forza spirituale che, sorretta da una fede senza confini, è destinata a trionfare. Quello che egli prima operava a servizio di una giustizia umana, ora opera a servizio di quella divina e proprio in questa continuità risiede la reale umanità del personaggio. L'ultima immagine che abbiamo di lui, con i segni della fine sul volto, è quella al lazzaretto, a servire i bisognosi come in tutta la sua vita.Innominato
L'Innominato è una delle figure psicologicamente più complesse e interessanti del romanzo. Personaggio storicamente esistito nel quale l'autore fa svolgere un dramma spirituale che affonda le sue radice nei meandri dell'animo umano. L'Innominato, figura malvagia la cui malvagità più che ripugnanza forse incute rispetto, è il potente cui Don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia. In preda a una profonda crisi spirituale, l'Innominato scorge nell'incontro con Lucia un segno, una luce che lo porta alla conversione; solo in un animo simile, incapace di vie di mezzo, una crisi interiore può portare a una trasformazione integrale. Durante la famosa notte in cui Lucia è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato giunge al culmine, tanto da farlo pensare al suicidio, ma ecco che il pensiero di Dio e le parolo di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della misericordia e del perdono.Don Rodrigo
Signorotto invaghitosi di Lucia che, solo per capriccio, vuole avere per sé. Egli rappresenta l'espressione umana e il simbolo del suo secolo; non riveste una carica particolare, ma è uno dei tanti nobilotti dell'epoca, uno qualsiasi. Il suo carattere, per niente deciso e fermo, riflette passivamente e fedelmente le magagne e le ingiustizie sociali dell'epoca in cui è chiamato a vivere. Di lui non viene data una descrizione vera e propria, né fisica né morale, sebbene sia lui il responsabile di tutta la vicenda; noi lo conosciamo attraverso i simboli e gli attributi della sua forza e della sua autorità, il suo palazzo, i suoi servi e le sue azioni. Cattivo genio di tutta l'azione, sicuro che la sua posizione sociale e gli appoggi di persone influenti gli garantiscono l'impunità, conosce solo una legge, quella del più forte. Pur essendo malvagio, non ha il coraggio delle sue azioni, preoccupato dalle conseguenze che esse hanno. Dopo le minacce di Padre Cristoforo, probabilmente rinuncerebbe volentieri al piano malvagio, ma persevera solo per questione di puntiglio e orgoglio vedendosi costretto a ricorrere all'aiuto di chi è più malvagio di lui, di chi veramente sa fare il male, l'Innominato. Purtroppo la conversione di quest'ultimo capovolge la vicenda e Don Rodrigo sarà cpstretto ad andarsene, a nascondersi, fino a quando la peste non lo coglierà e lo condurrà alla morte nel lazzaretto di Milano.Don Abbondio
Curato del paese di Renzo e Lucia, dovrebbe unirli in matrimonio ma, minacciato da Don Rodrigo, cerca di evitare a tutti i costi di celebrare le nozze e lo farà solo alla fine del romanzo, quando ogni pericolo sarà svanito. La vita di Don Abbondio si svolge tutta nell'orbita di Don Rodrigo e sotto l'influsso del suo principale difetto, la paura. La sua storia non è altro che la storia della sua paura e di tutte le manifestazioni attraverso le quali essa si rivela. Gretto, meschino, egoista fino all'impossibile, non è uomo cattivo, ma nemmeno buono; egli vive come in un limbo tormentato dalla paura; vede ostacoli e insidie anche dove non ci sono e l'angoscia e la preoccupazione di riuscire ad uscirne indenne lo rende incapace di prendere posizione tra il bene e il male. Anche quando, per un breve attimo, le parole del Cardinale, sembrano risvegliare in lui una luce, questa non riesce a giungere agli strati superiori della sua coscienza. Il suo carattere, oltre a creare vari spunti di comicità, non è privo di una certa grettezza che egli rivela per la soddisfazione dello scampato pericolo.IL CONTE ATTILIO
Il conte Attilio è il cugino di don Rodrigo, e lo aiuta nel suo infame obiettivo, ovvero quello di catturare Lucia.Costui si presenta con le stesse caratteristiche del cugino. Scommette con lui sul fatto che non sarebbe riuscito ad impossessarsi di Lucia, ed è proprio a causa di questa scommessa che inizia tutta la vicenda che si svilupperà in diversi capitoli. Il conte Attilio in seguito cercherà di aiutare don Rodrigo andando a Milano per fare in modo che padre Cristoforo non interferisca con la scommessa, anzi cercherà di farlo trasferire. Al termine del romanzo il conte Attilio morirà di peste; proprio nell'occasione del suo funerale don Rodrigo contrarrà lo stesso morbo.
Gertrude
La monaca di Monza, che accoglie Lucia nella sua fuga dal paese natio per sfuggire a Don Rodrigo, è un personaggio che l'autore descrive ampiamente come se nel racconto della vita della donna egli cerchi in qualche modo di trovare una giustificazione al male da lei fatto e al male che ancora farà. La vocazione imposta e non scelta rende Gertrude donna infelice e soggetta a peccare ma allo stesso tempo in ogni suo gesto si ravvisa come un senso di colpevolezza che serpeggia in mezzo ai grovigli e alle passioni che agitano il suo spirito. E' proprio questo sordo conflitto tra abiezione e senso di colpa che danno al personaggio della Monaca di Monza la sua tragicità. Ella non ha ancora superato i problemi che aveva da bambina, problemi nati dal vedersi negare la vita cui era destinata per la sua indole e dal non essere stata capace di lottare per far valere i suoi desideri. L'invidia che provava da bambina per le sue compagne più fortunate di lei la prova ancora per chi, come Lucia, conduce una vita nel mondo a lei precluso e tale invidia la porta a compiangersi e a vendicarsi come può, usando la sua autorità e compiendo il male.
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martedì 29 maggio 2012
rivolgimenti economici
I rivolgimenti economici e sociali del XV
secolo soprattutto la guerra dei cent'anni e
lo sviluppo dei traffici nel nord Europa diminuirono l'importanza della Francia
e diedero impulso allo sviluppo delle arti in generale e della musica in
particolare nelle regioni della Fiandra e della Borgogna. La scuola che si sviluppò, finanziata
nelle scuole delle cattedrali dalla borghesia benestante, prese il nome di scuola franco fiamminga e
innovò grandemente le preesistenti forme della messa,
del mottetto e della chanson. Ponendo le consonanze per terze (ancora
oggi familiari all'orecchio occidentale) e la forma imitativa del canone alla base delle loro procedure
compositive, i fiamminghi (tra cui ricordiamo il fondatore Guillaume Dufay e il grande Josquin Des Prez) rivoluzionarono la pratica della
polifonia ereditata dall'Ars nova e dall'Ars antiqua. Il lavoro di questi compositori
poneva le basi per lo sviluppo di quella che sarebbe stata la teoria dell'armonia.
Verso la fine del '400, la musica sacra
polifonica era divenuta molto complessa, come attestano i lavori di Johannes Ockeghem e Jacob Obrecht in una maniera che riflette con
analogie affascinanti la pittura dello stesso periodo.
Sempre all'inizio del '500 gli eccessi della
scuola fiamminga nel secolo precedente provocarono una reazione e una nuova
tendenza alla semplificazione, come si può vedere nell'opera di Josquin Des Prez e dei suoi contemporanei fiamminghi e,
più tardi, nell'opera di Giovanni
Pierluigi da Palestrina, che era, in parte, spinta dalle limitazioni
imposte alla musica sacra dal Concilio di Trento che
scoraggiava l'eccessiva complessità. Le complessità dei canoni quattrocenteschi
furono progressivamente abbandonate dai fiamminghi in favore dell'imitazione a
due e tre voci (fino ad arrivare a sei voci reali) e con l'inserimento di
sezioni in omofonia che sottolineavano i punti salienti
della composizione. Palestrina, dal canto suo, produsse composizioni in cui un contrappunto fluido alternava fittamente consonanze e dissonanze con
un suggestivo effetto di sospensione. La transizione ad un tactus di due
semibrevi per breve era a questo punto quasi definitiva e il tre su uno veniva
riservato ad effetti speciali volti a sottolineare momenti di tensione -
l'esatto opposto della tecnica prevalente cent'anni prima.
Alla fine del secolo, con il trattato
"De Institutioni Harmonicae" del compositore e teorico musicale
italiano Gioseffo Zarlino (1589)
si definiscono finalmente in modo completo ed esauriente le leggi dell'armonia (e quindi della polifonia). Nasce da qui l'articolazione dei due
modi principali della musica moderna: le tonalità maggiore
e minore.
Claudio
Monteverdi e la nascita dell'opera Lirica
In quasi tutte le culture, anche in tempi
molto antichi, la musica e il teatro s'incontrarono frequentemente e si fusero
per dar vita a forme diverse di spettacolo. Per assistere alla nascita del
teatro musicale moderno è necessario attendere la fine del XVI secolo. È infatti in quest'epoca che a Firenze un gruppo di letterati e musicisti,
la cosiddetta Camerata de' Bardi creata
dal conte Giovanni Bardi, crea
un nuovo stile vocale a mezza via tra il canto e la recitazione: il recitarcantando.
Da queste premesse si sviluppa il melodramma. Il primo importante esempio di questo
nuovo genere è l'Euridice di Jacopo Peri (1561-1633),
che viene rappresentato il 6 ottobre 1600 a Firenze, in occasione delle nozze di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia.
Ma il primo vero protagonista
degli esordi dell'opera lirica, che dalla
musica del Rinascimento trae le
sue origini, è senz'altro Claudio Monteverdi (1567 - 1643):
nel suo L'Orfeo, che fu rappresentato per la prima volta
il 24 febbraio 1607 nel Palazzo Ducale di Mantova, si assiste al crescere dell'importanza
dell'orchestra e del canto rispetto alle parti recitate e quindi alla netta
distinzione fra recitativo e aria. Con l'introduzione dei concertati e
dei recitativi ariosi - dove le parti semplicemente recitate
sfumano nel canto - la strada per giungere all'opera nel senso moderno del
termine sarà, se non spianata, quanto meno tracciata con maggiore definizione.
Con Monteverdi il legame tra testo e musica diventa strettissimo, la musica
illustra il significato del testo attraverso i cosiddetti madrigalismi
Musica antica
Musica antica
Per musica
antica si intende generalmente la musica europea che va
dal medioevoal rinascimento; frequentemente, soprattutto
nell'area anglosassone (dove il concetto di "early
music" è nato), si include in questo termine anche la musica barocca.[1] La
"musica antica", tuttavia, non è una categoria storico-musicale, dato che copre un arco di
secoli non ben definito, e una produzione molto vasta ed eterogenea: si è
inteso con questo nome, soprattutto a partire dagli anni '50-'60,
l'insieme delle musiche per cui si era interrotta da secoli la tradizione
esecutiva. Ciò che ha inizialmente distinto la "musica antica"
nell'ambito della "musica classica" (in senso lato) è quindi il fatto
che la sua esecuzione moderna si basa sull'impiego distrumenti musicali "storici" e su
una ricerca musicologica che attinge direttamente alle fonti
originali. Negli ultimi anni, essendosi succedute diverse generazioni di
musicisti nella riscoperta della musica antica, anche per questa si può parlare
ormai di una "tradizione esecutiva" (seppure non risalente all'epoca
delle composizioni), oggetto di insegnamento nelle normali sedi accademiche, soprattutto fuori d'Italia; tuttavia, la
formazione e l'approccio interpretativo dei musicisti specializzati in musica
antica presentano tuttora molti elementi distintivi, che risultano evidenti
nelle loro esecuzioni.
La
riscoperta della musica antica
La
riscoperta del repertorio barocco e pre-barocco ha sporadici ma significativi
precedenti nel XIX secolo e anche nel secolo precedente. Già nel 1726 fu costituita a Londra la Academy of Ancient Music, con lo scopo
di coltivare lo studio del repertorio polifonico del XVI secolo.
La stessa Accademia assicurò il mantenimento in repertorio delle opere dei
maggiori compositori barocchi (in primo luogo Händel, ma ancheCorelli, Pepusch e Pergolesi). Nel 1829 ebbe luogo a Berlino la
celebre esecuzione della Passione secondo Matteo di Bach, sotto la direzione di Felix Mendelssohn.
Tuttavia, nel riportare in vita partiture risalenti
a cent'anni prima, non fu seguito un approccio "filologico":
Nell'ambito
della musica liturgica, la benedettina Abbazia di Solesmes diede inizio attorno al 1840 ad un'opera
sistematica di riforma della tradizione esecutiva del canto gregoriano,
con la volontà di riportarlo alla sua originale dimensione di canto monodico non
misurato, in contrasto con la pratica, affermatasi già a partire dal XVI secolo,
di eseguire i canti liturgici secondo una rigida scansione ritmica e con
l'accompagnamento di un basso continuo.
La
ricostruzione della prassi esecutiva storica è invece
l'elemento caratteristico del movimento iniziato verso il 1890 da Arnold Dolmetsch,
a Londra.
Il saggio di
Dolmetsch The Interpretation of the Music of the XVII and XVIII
Centuries[2](1915) si può considerare
l'atto di avvio del movimento dell'early music nel XX secolo.
Oltre allo studio interpretativo e stilistico, nell'opera pionieristica di
Dolmetsch ebbe largo spazio la ricostruzione degli strumenti barocchi, in
particolare la riscoperta del flauto dolce e
della viola da gamba. Allo stesso Dolmetsch si deve
l'introduzione del concetto di authenticity[3] che
è stato per lungo tempo la parola-chiave per i cultori della musica antica.
Questo concetto, che implicitamente bollava come "infedele" la
lettura del repertorio barocco da parte delle orchestre e dei solisti formati
nel solco della tradizione ottocentesca, sollevò fin da quegli anni vivaci polemiche. Di fatto, proprio
l'approfondimento delle conoscenze storiche ha spesso mostrato i limiti di
validità di alcuni dei paradigmi inizialmente formulati in nome
dell'autenticità. Per quanto utopistica ed elitaria, tuttavia, proprio la forte
contrapposizione alla prassi di impronta tardo-romantica ha potenziato l'impatto
innovativo del movimento dell'early music.
Negli
stessi anni, Wanda Landowska riproponeva per la prima
volta l'esecuzione sul clavicembalo delle opere del XVIII secolo (in
particolare le Variazioni Goldberg di Bach). La stessa Landowska scrisse nel 1909 il
trattato Musique ancienne[4],
e fondò in Francia nel 1925 una École de Musique Ancienne; la
guerra la costrinse ad abbandonare nel 1940 la scuola, e successivamente a
trasferirsi negli Stati Uniti. Le scelte stilistiche e tecniche[5] di
Wanda Landowska furono caratterizzate da una grande libertà interpretativa[6] e
da una significativa contiguità con la rilettura e appropriazione del
repertorio antico da parte della corrente neoclassicista del primo novecento.
Il
primo centro di insegnamento e ricerca consacrato alla musica antica, secondo
il nuovo spirito "filologico", fu la Schola Cantorum Basiliensis, fondata
nel 1933 da
Paul Sacher e dal violista August Wenzinger. Nel 1946 fu fondata in
Inghilterra la Galpin Society, dedicata allo studio e alla
ricostruzione degli strumenti antichi.[7].
Dopo la seconda guerra mondiale, e segnatamente negli anni sessanta-settanta,
il revival della musica antica interessò, oltre all'Inghilterra (con
le figure dominanti di Alfred Deller e David Munrow),
soprattutto i Paesi Bassi (con Gustav Leonhardt, Frans Brüggen e Anner Bijlsma in Olanda, e i tre
fratelliSigiswald, Wieland e Barthold Kuijken in Belgio) e l'Austria (con Nikolaus Harnoncourt eRené Clemencic).
Contributi significativi alla riscoperta della musica medievale vennero inoltre
da Konrad Ruhland, Andrea von Ramm, Thomas Binkley, Paul Hillier e
altri. Nel campo della musica vocale emersero negli stessi anni i primi
cantanti specializzati nel repertorio antico: fra questi, oltre ad Alfred
Deller, i controtenori Paul Esswood e James Bowman, il tenoreNigel Rogers e
il soprano Emma Kirkby.
In quei decenni, lo "stato dell'arte" nel campo delle ricerche dalla prassi
esecutiva storica trovò espressione nel manuale di Robert Donington A
Performer’s Guide to Baroque Music[8],
che faceva seguito al più voluminoso The Interpretation of Early Music[9] dello
stesso autore. Fra gli esempi più illustri ed influenti di esecuzioni "con
strumenti antichi" di quegli anni si possono annoverare l'incisione
integrale delle cantate di Bach[10] realizzata
fra il 1971 e il 1990 dai direttori d'orchestra Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonhardt,
e l'incisione dei concerti dell'op. 8 Il Cimento dell'Armonia e
dell'Inventione di Antonio Vivaldi da
parte del Concentus Musicus Wien diretto da
Harnoncourt (1977)[11].
Nel 1973 fu
fondata la rivista Early Music, pubblicata dalla Oxford University Press, tuttora considerata
la più autorevole del settore e che, fin dai suoi esordi, è stata un punto di
riferimento tanto per i musicologi quanto per gli esecutori.
Nel
corso degli anni ottanta e novanta si
sono moltiplicati progressivamente in tutta Europa, negli USA e
in Giappone i
complessi vocali e strumentali specializzati nei vari aspetti di questo vasto
ambito musicale (vedi lista di ensemble di musica barocca e lista di ensemble di musica antica),
sono nate riviste specializzate, festival e stagioni concertistiche, e un
mercato discografico specifico. Le conoscenze in campo interpretativo,
organologico e tecnico si sono notevolmente accresciute, permettendo di
archiviare la fase pionieristica in cui qualunque cosa veniva eseguita con flauto dolce, clavicembalo e viola da gamba.
Il concetto di historically informed performance[12] ha
preso il posto di quello di authenticity, ed è stato applicato
anche al repertorio classico e romantico. Diversi interpreti hanno esplorato
nelle loro esecuzioni i rapporti fra la musica medievale europea e tradizioni
musicali di origine extra-europea, particolarmente la musica arabo-andalusa[13];
sono anche state proposte suggestive commistioni fra musica antica e musica
contemporanea[14].
Rispetto
agli "anni ruggenti" (settanta-ottanta) si osserva oggi un cospicuo innalzamento del livello
professionistico medio in questo repertorio, ma parallelamente si osserva una
riduzione - fin quasi alla scomparsa - della pratica amatoriale della musica
antica, che era stato un elemento caratterizzante del movimento dell'early
music fin dai tempi di Dolmetsch.
La
notazione musicale moderna (stabilizzatasi nel XIX secolo)
fornisce un'indicazione precisa dell'altezza e della durata delle note, della misura della
battuta, della velocità a cui deve essere eseguita la
musica, degli strumenti a cui è destinata, e - nel caso
della musica vocale - della corrispondenza fra note e
sillabe del testo. Per quanto l'interpretazione del singolo esecutore abbia
comunque un certo margine per quanto riguarda gli effetti dinamici (che sono
indicati, ma solo qualitativamente) e di fraseggio, i brani scritti secondo
queste convenzioni di notazione lasciano poche incertezze in merito all'effetto
musicale inteso dal compositore.
Se
si considera la musica scritta nei secoli precedenti, viceversa, le fonti originali
(manoscritte,
riportano meno indicazioni quantitative.
Le
fonti più antiche, per quanto riguarda la musica europea occidentale di epocamedievale (a
partire dall'VIII secolo), usavano notazioni neumatiche di
tipo adiastematico[15],
di cui la notazione sangallese e quella metense sono
le più rappresentative. Queste notazioni non volevano fornire informazioni
sull'altezza dei suoni o sugli intervalli, visto che la melodia veniva
tramandata mnemonicamente da maestro a discepolo, ma offrivano precise e
dettagliate indicazioni ritmiche.
Oggi, la ricostruzione e l'esecuzione di queste musiche richiede competenzemusicologiche e paleografiche molto specifiche e approfondite, e si basa in larga misura sul confronto fra diverse fonti coeve e con fonti posteriori, che tuttavia lasciano ampio spazio a interpretazioni anche divergenti.
Nelle moderne edizioni di canto gregoriano, come nel Graduale Triplex, queste notazioni vengono riproposte per una comparazione sinottica.
Oggi, la ricostruzione e l'esecuzione di queste musiche richiede competenzemusicologiche e paleografiche molto specifiche e approfondite, e si basa in larga misura sul confronto fra diverse fonti coeve e con fonti posteriori, che tuttavia lasciano ampio spazio a interpretazioni anche divergenti.
Nelle moderne edizioni di canto gregoriano, come nel Graduale Triplex, queste notazioni vengono riproposte per una comparazione sinottica.
Nell'XI secolo compare
nei manoscritti la notazione quadrata,[16] che
permette di denotare l'altezza delle note,
ma non fornisce indicazioni di tipo ritmico. Con la comparsa della polifonia (XII - XIII secolo)
entrano gradualmente in uso diverse convenzioni per l'indicazione della durata
delle note. In compenso, nella notazione mensurale che si stabilizza nel
corso del XV secolo (e ancor più con l'introduzione della stampa a caratteri mobili nel XVI secolo)
l'indicazione della corrispondenza fra note e sillabe del testo cantato diventa
assai meno precisa. Fino al XIV secolo la
musica trascritta nei codici è esclusivamente vocale: gli strumenti, che
compaiono in abbondanza nell'iconografia, potevano essere occasionalmente usati per
accompagnare le voci, ma la musica strumentale propriamente detta (tipicamente
destinata alla danza)
inizia ad essere conservata nei manoscritti solo a partire dal XIV secolo;
la musica per strumenti melodici (che potevano essere indifferentemente
strumenti a corde o a fiato,
come risulta dall'iconografia) utilizza la notazione della musica vocale,
mentre per la musica destinata a strumenti a tastiera (l'organo,
e successivamente clavicembali eclavicordi)
si sviluppano notazioni apposite dette intavolature.
La
decifrazione delle fonti musicali del XIV e XV secolo richiede
competenze di paleografia musicale, e oggi anche i gruppi musicali
specializzati in questo repertorio usano per l'esecuzione trascrizioni in
notazione moderna, che si trovano nelle edizioni critiche pubblicate dai musicologi oppure
sono realizzate dagli stessi interpreti. Gli stessi manoscritti dell'epoca,
peraltro, non erano destinati all'esecuzione ma alla conservazione del
repertorio musicale (tutti i brani polifonici, ad esempio, sono scritti in
parti separate, che spesso occupano facciate diverse dello stesso foglio).
Nella trascrizione moderna, un problema sistematico e particolarmente
impegnativo deriva dall'uso della musica ficta,[17] ossia
di alterazioni(diesis e bemolli)
che venivano eseguite ma non indicate nei manoscritti: pur essendovi alcuni
criteri generali sull'inserimento di queste alterazioni aggiuntive, nella
maggior parte dei casi sono possibili soluzioni differenti: d'altra parte, si
ritrovano divergenze considerevoli nell'uso delle alterazioni nelle stesse
fonti originali, ad esempio quando si possono confrontare diverse trascrizioni
in intavolatura di uno stesso brano[18].
Le alterazioni occasionali continuarono ad essere in buona parte sottointese
fino a tutto il XVI secolo, ma il loro uso evolve nel tempo di pari passo con
l'emergere di un linguaggio "armonico"
nella composizione musicale. Più agevole, invece, è l'individuazione del tipo
di accordatura (pitagorica, mesotonica,ben
temperata ecc.) appropriata in ogni epoca, giacché su questo le fonti
sono abbondanti e circostanziate.
Uno
degli aspetti peculiari dell'interpretazione della musica antica sta proprio
nel fatto che già nell'opera di trascrizione dalle fonti originali sono
necessariamente compiute alcune fondamentali scelte interpretative, di cui
l'esecutore non può non essere consapevole, anche quando non è lui l'autore
della trascrizione. Pertanto l'esecutore deve essere in possesso di conoscenze
di tipo musicologico e paleografico; inoltre, fino a tutto il XVI secolo manca
l'indicazione dell'eventualeorganico strumentale. Nella musica
vocale (sacra e profana)
alcune parti non hanno un testo, il che fa ritenere che siano destinate a
strumenti (questo problema è trattato diffusamente più sotto); nella musica strumentale, se si
eccettuano le intavolature che sono destinate a uno strumento specifico,
compare al più l'indicazione "per ogni sorta di strumenti".
Nell'esecuzione moderna si riscontrano due tendenze distinte. Vi sono complessi
strumentali costituiti con un preciso organico (ad esempio, insiemi di flauti dolci,
di viole da gamba, di cornetti e tromboni,
ecc.), i quali scelgono brani adatti alle tessiture dei loro strumenti, senza necessariamente
tener conto della destinazione originale di tali musiche: questo riflette
peraltro una prassi tipica del XVI secolo.
Altri interpreti moderni perseguono invece progetti artistici e di ricerca
focalizzati su singoli autori o scuole musicali, anziché su una scelta a priori
dell'organico, e in questo caso l'impiego o meno degli strumenti, e la scelta
di questi, si basa su considerazioni (anche soggettive) di appropriatezza storica
ed acustica al
repertorio: si adottano pertanto organici variabili a seconda del brano. Questi
due atteggiamenti producono risultati talora molto diversi: l'esecuzione di una chanson polifonica
o di un mottetto con
un quartetto di flauti dolci, ad esempio, produce un risultato (non solo timbrico)
completamente diverso da un'esecuzione a cappella (cioè
con sole voci) oppure mista (con voci e strumenti, questi ultimi scelti in base
alle caratteristiche del singolo brano). Entro certi limiti, questo riflette
una caratteristica propria della produzione musicale di questi secoli, in cui
il concetto di "trascrizione" rispetto alla
"destinazione originale" non si può applicare come si farebbe per un
brano del XIX secolo.
.
Proprio
sulla base delle considerazioni di qui sopra, con la progressiva
specializzazione degli interpreti, si è assistito alla nascita di una figura
definita (anche nei programmi di formazione accademica) del "musicista
informato", a cui si chiede, oltre ad una padronanza indubbia dello
strumento, un solido bagaglio culturale, storico ed anche tecnico. La tendenza
negli anni più recenti è infatti quella di utilizzare direttamente fac-simili della
notazione originale, o copie "pulite", ovvero trascritte mantenendo
la scrittura originale. Questo perché gli ostacoli maggiori
nell'interpretazione delle fonti musicali antiche nascono proprio
dall'inadeguatezza della scrittura musicale moderna per rendere peculiarità
ritmiche che in notazione originale risaltano immediatamente. Il caso più
patente è quello della notazione manieristica italofrancese della fine del XIV,
la cosiddetta Ars subtilior, ma il discorso può essere
allargato alla musica di svariate epoche: ad esempio al repertorio fiammingo
del XV secolo, ma anche a repertori che apparentemente si dimostrano di più
semplice interpretazione, quali le frottole italiane della fine del
Quattrocento e dei primordi del XVI secolo, in cui la notazione moderna, con le
sue trascrizioni per battute, costringe all'uso di legature di valore
assolutamente estranee al pensiero musicale dell'epoca e distrugge
completamente la percezione dei diversi "cursus" retorici in uso al
tempo. Senza contare che la notazione moderna, per le stesse ragioni esposte,
rende meno evidenti all'esecutore le componenti proporzionali della musica del
Medioevo e del Rinascimento.
Per
quanto riguarda la musica di XVII e XVIII secolo,
la notazione musicale non pone veri e propri problemi di interpretazione
paleografica, e dalla metà del XVII secolo non richiede alcuna opera di
trascrizione (già le copie a stampa del XVI secolo possono
essere usate direttamente dall'esecutore moderno, con un moderato
addestramento, ma poiché tutti i brani erano scritti in parti separate, spesso
si preferisce usare una moderna trascrizione in partitura). Tuttavia anche in
quest'epoca si ritrovano convenzioni specifiche nella notazione del ritmo[19] e
delle formule di abbellimento, che differiscono dalle convenzioni
odierne (le edizioni moderne in cui abbellimenti e fraseggi sono stati
"tradotti" o inseriti di sana pianta dal revisore sono da
considerarsi di interesse puramente didattico o amatoriale, e non di rado
contengono vistosi errori). Gli spartiti di quest'epoca indicano con precisione
l'organico strumentale a cui il brano è destinato, ma si deve considerare che
tutti gli strumenti musicali avevano fino al XIX secolo caratteristiche
costruttive e tecniche di emissione e fraseggio notevolmente diverse da quelle
moderne[20].
Del
bagaglio tecnico di un musicista rinascimentale o barocco faceva parte anche la
capacità di improvvisare, in contesti ben definiti. Nel tardo Rinascimento era
diffusa la pratica del sonare artificioso: una chanson francese
o un madrigale erano eseguiti da uno strumento acuto (flauto, cornetto o
violino, con l'accompagnamento di liuto o spinetta che eseguivano le altre
parti), oppure da uno strumento a tastiera solo, con una straordinaria
abbondanza di fioriture improvvisate dette passaggi o diminuzioni(vedi
la voce Abbellimento). Similmente, i virtuosi di strumenti più gravi
(in particolare la viola da gamba) usavano realizzare all'impronta passaggi
virtuosistici, che attraversavano l'estensione di più voci (parti
"bastarde"), sopra brani polifonici o su sequenze accordali tipiche
(a loro volta mutuate da canzoni o danze di grande diffusione, come "passamezzo",
"passacagli", "follia", "la gamba", "l'aria
del Granduca", "la romanesca" e molte altre). Se per l'esecutore
moderno della musica antica è una libera scelta quella di inserire o meno
questi elementi di improvvisazione,[21] non
è invece eludibile l'intervento di realizzazione dell'accompagnamento per le
sonate o cantate con basso continuo di epoca barocca. In questo
vastissimo repertorio, la parte riservata allo strumento a tastiera (organo,
clavicembalo, tiorba o arpa) è scritta solo limitatamente alla linea del basso,
con l'aggiunta di cifre che indicano sommariamente gli accordi che devono
essere realizzati; ma questi accordi possono essere eseguiti in molti modi, e
di fatto la realizzazione del basso continuo implica l'aggiunta (improvvisata)
alla composizione di almeno due o tre voci, per le quali si deve tener conto
non solo dell'armonia, ma anche delle regole del contrappunto.[22]
Per
l'epoca barocca esistono molti trattati di tecnica dei singoli strumenti, che
affrontano anche gli aspetti interpretativi, tuttavia lo spazio di intervento
autonomo assegnato all'esecutore resta relativamente ampio, e può condurre -
pur nel rispetto delle indicazioni fornite dalle fonti dell'epoca - ad esiti
molto diversi. In anni recenti, la ricerca in questo campo si è estesa anche
all'esecuzione del repertorio classico e
del primo romanticismo, mettendo talvolta in discussione
tradizioni esecutive consolidatesi in epoca tardo-romantica.
Sulla
base di queste osservazioni si può comprendere come il concetto di
"esecuzione filologica", sovente associato all'idea di "musica
antica", si possa interpretare in modi molto differenti. Il criterio di
"uso degli strumenti antichi" è sicuramente importante (anche se
talvolta applicato con una certa disinvoltura, usando ad esempio flauti dolci e
viole da gamba di modello seicentesco anche per la musica del XIV secolo),
non solo per l'effetto timbrico risultante, ma soprattutto perché l'uso degli
strumenti dell'epoca (e delle relative tecniche di diteggiatura, arcata, ecc.)
permette spesso di risolvere dubbi interpretativi che altrimenti resterebbero
senza risposta. Tuttavia il solo fatto di ricorrere all'uso di strumenti
musicali storicamente attestati e di basarsi su regole enunciate nei trattati
dell'epoca (trattati che sono di carattere prevalentemente teorico fino al XVI secolo)
non garantisce né il raggiungimento di una qualità musicale adeguata, né la
reale ricostruzione "archeologica" di un'esecuzione dell'epoca:
quest'ultimo obiettivo, in particolare, è irraggiungibile sia per
l'incompletezza dei dati in nostro possesso, sia perché le condizioni di
ascolto e il retaggio culturale di un ascoltatore odierno sono radicalmente
diversi. Quindi l'obiettivo che un'esecuzione "storicamente
consapevole" può conseguire è piuttosto quello di una complessiva coerenza delle
scelte interpretative ed esecutive, per offrire all'ascoltatore una lettura ben
definita e comprensibile, aderente a ciò che conosciamo del contesto artistico
e sociale dell'epoca, ma non privata di quegli elementi espressivi, suggestivi
ed emotivi che anche nei secoli passati sono stati presenti in ogni forma
musicale.
musica del medioevo
La musica profana è quella musica non-sacra che si andò
sviluppandosi nel medioevo.
La musica profana nel medioevo è costituita da canzoni d'amore, satire
politiche e danze accompagnate da strumenti quali tamburi, arpe ecornamuse che erano facili da trasportare per i
cantori che si spostavano da una città all'altra. Le parole erano molto
importanti nella musica profana in modo che la gente potesse cantare queste
canzoni per divertimento. Ad esempio il mottetto uscì
dalle chiese per entrare nelle case dei nobili, e fu per questo motivo che
venne bandito come musica sacra.
Nel medioevo la più grande collezione di musica profana proviene dai poemi
che i trovatori, provenienti dal sud della Francia, portavano in giro nelle corti
europee.
Compositori come Josquin Des Prez scrissero musica sacra e musica profana. Egli compose 86 pezzi di musica profana e 119 di musica sacra.
La musica profana fu di aiuto alla formazione della letteratura durante il periodo di Carlo Magno.
Compositori come Josquin Des Prez scrissero musica sacra e musica profana. Egli compose 86 pezzi di musica profana e 119 di musica sacra.
La musica profana fu di aiuto alla formazione della letteratura durante il periodo di Carlo Magno.
giovedì 19 aprile 2012
Videoclip
I Beatles nel videoclip di Help!
Il videoclip (conosciuto in Italia anche come video musicale o anche semplicemente video o clip) è un breve filmato prodotto a scopo promozionale per un brano musicale, solitamente una canzone presente in tutta la lunghezza del video. In alcune parti del mondo, come in Giappone, è anche detto promotional video, abbreviato in PV.
I videoclip utilizzano differenti forme stilistiche ed espressive per commentare visivamente il brano musicale: molti di essi si compongono della semplice riproduzione filmica del cantante o del gruppo musicale che eseguono il brano; altri creano minifilm con trama (recitati talvolta dagli stessi componenti del gruppo) oppure non narrativi e si possono avvalere di sequenze animate o di immagini documentaristiche.
La pratica di abbinamento di immagini filmate a brani musicali risale sin dagli anni cinquanta, ma il videoclip diviene molto popolare a partire dall'inizio degli anni ottanta con la nascita delle prime televisioni con palinsesto interamente musicale.
Indice
1 Origine dei videoclip
2 Curiosità
3 Note
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Origine dei videoclip
Come ha dimostrato con le sue ricerche[1] Michele Bovi, i primi filmati musicali a colori che usano le immagini per accompagnare una canzone sono realizzati in Italia, a partire dal 1959. In quell'anno infatti si sperimenta un juke-box ad immagini: il Cinebox, brevettato come "fonografo visivo" dall'inventore Pietro Granelli e realizzato dalla Ottico Meccanica Italiana diretta da Paolo Emilio Nistri. Le prime pellicole del Cinebox, girate dai registi RAI Vito Molinari, Beppe Recchia ed Enzo Trapani, sono interpretate da Peppino Di Capri, Domenico Modugno, Johnny Dorelli, Renato Rascel, Giorgio Gaber, i Brutos, Gino Paoli, Edoardo Vianello e altri. Nel 1963 il Cinebox viene esportato sul mercato americano col nome di Colorama coinvolgendo star come Paul Anka e Neil Sedaka, ma in breve tempo l'esperimento è abbandonato.
Tra gli altri precursori del videoclip contemporaneo si possono elencare i soundie (cortometraggi abbinati a brani musicali trasmessi da un rudimentale videojuke-box detto "panorama soundie" nei primi anni cinquanta negli Stati Uniti), gli scopitone (corrispettivi francesi dei soundie girati in technicolor e lanciati sul mercato nel 1964) e le performance che sopperivano all'assenza delle band in studio in alcuni celebri show televisivi degli anni sessanta come Ready Steady Go! (trasmesso dalla BBC) o l'Ed Sullivan Show.
Il primo vero successo del videoclip avviene in Italia nel 1965 con la proiezione nelle sale cinematografiche dei tre film del regista e produttore Tullio Piacentini: 008 Operazione ritmo, Viale della canzone e Questi pazzi, pazzi italiani. Questi film a colori, realizzati in funzione ad un accordo avvenuto agli inizi degli anni '60 tra il produttore stesso e la RCA che prevedeva la realizzazione di almeno 200 'filmati musicali', contenevano una raccolta di decine di videoclip (interpretati dagli esordienti Gianni Morandi, Peppino di Capri, Luigi Tenco, Gigliola Cinquetti, Jimmy Fontana, Bobby Solo, Fred Bongusto, ecc.) ed erano intervallati da barzellette animate. Poi, quando la televisione iniziò ad avere più seguito di spettatori, il regista Tullio Piacentini produce anche il primo programma televisivo di lancio dei videoclip e dei relativi cantanti: era il 1967 ed era intitolato Passeggiando per Subiaco. Proprio per aver creato la commercializzazione cinematografica prima e televisiva poi di questi filmati musicali, Tullio Piacentini viene considerato l'inventore del videoclip.
Altre forme vicine al videoclip contemporaneo vengono realizzate da registi di fama dalla fine degli anni sessanta: i The Beatles per fronteggiare la continua richiesta delle loro apparizioni in giro per il mondo per promuovere i nuovi singoli, realizzarono dei video, col tempo sempre più particolari e fantasiosi, che venivano trasmessi dalle Tv o dai programmi televisivi, una sorta di proto-MTV ante litteram, idea seguita anche da Bob Dylan con il video di Subterranean Homesick Blues girato dal documentarista D. A. Pennebaker e inserito in apertura del film del 1967 Dont Look Back, che si avvale della presenza del poeta Allen Ginsberg come "figurante speciale".
Nel 1974 gli ABBA fecero uscire il loro primo videoclip, Waterloo, diretto da Lasse Hallström (che dirigerà la maggior parte dei loro video), seguendo poi ad accompagnare l'uscita dei loro singoli con dei clip promozionali. Nel 1975 i Queen realizzano un lungo videoclip, considerato uno dei primi della storia, grazie al lancio ideato dai loro promoter, del loro brano Bohemian Rhapsody per il programma televisivo Top of the pops.
Con la nascita di MTV (che il 1º agosto 1981 ha ironicamente aperto le proprie trasmissioni con il videoclip Video Killed the Radio Star dei Buggles) e di altre televisioni musicali il videoclip ha assunto sempre maggiore importanza nelle strategie di lancio promozionale dei brani musicali e si è fortemente evoluto dal punto di vista artistico. Il primo videoclip con un alto budget di produzione è stato quello del brano Thriller di Michael Jackson nel 1983, che fu studiato e girato come un vero film dal regista John Landis. Il successivo videoclip considerato ancora oggi tra i più costosi fu quello di Wild Boys dei Duran Duran nel 1984.
Curiosità
Il videoclip più lungo nella storia della musica è Ghosts di Michael Jackson, della durata di 39 minuti.
Il record di videoclip più costoso al mondo è stato raggiunto di nuovo da Michael Jackson con il singolo Scream, uscito nel 1995 appartenente all'album HIStory, videoclip costato 7.5 milioni di dollari, seguito al secondo e al terzo posto da Madonna con il costo di 6 milioni di dollari con il singolo Die Another Day, e al terzo con il singolo Bedtime Story del 1994, con un costo di 5 milioni di dollari. Di entrambi il regista è Mark Romanek.
Nel 2006 il videoclip di From Yesterday dei 30 Seconds to Mars supera il precedente record di video più costoso. Ben 13 milioni di dolari spesi per la realizzazione del video, girato nella repubblica popolare cinese.
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