Musica antica
Per musica
antica si intende generalmente la musica europea che va
dal medioevoal rinascimento; frequentemente, soprattutto
nell'area anglosassone (dove il concetto di "early
music" è nato), si include in questo termine anche la musica barocca.[1] La
"musica antica", tuttavia, non è una categoria storico-musicale, dato che copre un arco di
secoli non ben definito, e una produzione molto vasta ed eterogenea: si è
inteso con questo nome, soprattutto a partire dagli anni '50-'60,
l'insieme delle musiche per cui si era interrotta da secoli la tradizione
esecutiva. Ciò che ha inizialmente distinto la "musica antica"
nell'ambito della "musica classica" (in senso lato) è quindi il fatto
che la sua esecuzione moderna si basa sull'impiego distrumenti musicali "storici" e su
una ricerca musicologica che attinge direttamente alle fonti
originali. Negli ultimi anni, essendosi succedute diverse generazioni di
musicisti nella riscoperta della musica antica, anche per questa si può parlare
ormai di una "tradizione esecutiva" (seppure non risalente all'epoca
delle composizioni), oggetto di insegnamento nelle normali sedi accademiche, soprattutto fuori d'Italia; tuttavia, la
formazione e l'approccio interpretativo dei musicisti specializzati in musica
antica presentano tuttora molti elementi distintivi, che risultano evidenti
nelle loro esecuzioni.
La
riscoperta della musica antica
La
riscoperta del repertorio barocco e pre-barocco ha sporadici ma significativi
precedenti nel XIX secolo e anche nel secolo precedente. Già nel 1726 fu costituita a Londra la Academy of Ancient Music, con lo scopo
di coltivare lo studio del repertorio polifonico del XVI secolo.
La stessa Accademia assicurò il mantenimento in repertorio delle opere dei
maggiori compositori barocchi (in primo luogo Händel, ma ancheCorelli, Pepusch e Pergolesi). Nel 1829 ebbe luogo a Berlino la
celebre esecuzione della Passione secondo Matteo di Bach, sotto la direzione di Felix Mendelssohn.
Tuttavia, nel riportare in vita partiture risalenti
a cent'anni prima, non fu seguito un approccio "filologico":
Nell'ambito
della musica liturgica, la benedettina Abbazia di Solesmes diede inizio attorno al 1840 ad un'opera
sistematica di riforma della tradizione esecutiva del canto gregoriano,
con la volontà di riportarlo alla sua originale dimensione di canto monodico non
misurato, in contrasto con la pratica, affermatasi già a partire dal XVI secolo,
di eseguire i canti liturgici secondo una rigida scansione ritmica e con
l'accompagnamento di un basso continuo.
La
ricostruzione della prassi esecutiva storica è invece
l'elemento caratteristico del movimento iniziato verso il 1890 da Arnold Dolmetsch,
a Londra.
Il saggio di
Dolmetsch The Interpretation of the Music of the XVII and XVIII
Centuries[2](1915) si può considerare
l'atto di avvio del movimento dell'early music nel XX secolo.
Oltre allo studio interpretativo e stilistico, nell'opera pionieristica di
Dolmetsch ebbe largo spazio la ricostruzione degli strumenti barocchi, in
particolare la riscoperta del flauto dolce e
della viola da gamba. Allo stesso Dolmetsch si deve
l'introduzione del concetto di authenticity[3] che
è stato per lungo tempo la parola-chiave per i cultori della musica antica.
Questo concetto, che implicitamente bollava come "infedele" la
lettura del repertorio barocco da parte delle orchestre e dei solisti formati
nel solco della tradizione ottocentesca, sollevò fin da quegli anni vivaci polemiche. Di fatto, proprio
l'approfondimento delle conoscenze storiche ha spesso mostrato i limiti di
validità di alcuni dei paradigmi inizialmente formulati in nome
dell'autenticità. Per quanto utopistica ed elitaria, tuttavia, proprio la forte
contrapposizione alla prassi di impronta tardo-romantica ha potenziato l'impatto
innovativo del movimento dell'early music.
Negli
stessi anni, Wanda Landowska riproponeva per la prima
volta l'esecuzione sul clavicembalo delle opere del XVIII secolo (in
particolare le Variazioni Goldberg di Bach). La stessa Landowska scrisse nel 1909 il
trattato Musique ancienne[4],
e fondò in Francia nel 1925 una École de Musique Ancienne; la
guerra la costrinse ad abbandonare nel 1940 la scuola, e successivamente a
trasferirsi negli Stati Uniti. Le scelte stilistiche e tecniche[5] di
Wanda Landowska furono caratterizzate da una grande libertà interpretativa[6] e
da una significativa contiguità con la rilettura e appropriazione del
repertorio antico da parte della corrente neoclassicista del primo novecento.
Il
primo centro di insegnamento e ricerca consacrato alla musica antica, secondo
il nuovo spirito "filologico", fu la Schola Cantorum Basiliensis, fondata
nel 1933 da
Paul Sacher e dal violista August Wenzinger. Nel 1946 fu fondata in
Inghilterra la Galpin Society, dedicata allo studio e alla
ricostruzione degli strumenti antichi.[7].
Dopo la seconda guerra mondiale, e segnatamente negli anni sessanta-settanta,
il revival della musica antica interessò, oltre all'Inghilterra (con
le figure dominanti di Alfred Deller e David Munrow),
soprattutto i Paesi Bassi (con Gustav Leonhardt, Frans Brüggen e Anner Bijlsma in Olanda, e i tre
fratelliSigiswald, Wieland e Barthold Kuijken in Belgio) e l'Austria (con Nikolaus Harnoncourt eRené Clemencic).
Contributi significativi alla riscoperta della musica medievale vennero inoltre
da Konrad Ruhland, Andrea von Ramm, Thomas Binkley, Paul Hillier e
altri. Nel campo della musica vocale emersero negli stessi anni i primi
cantanti specializzati nel repertorio antico: fra questi, oltre ad Alfred
Deller, i controtenori Paul Esswood e James Bowman, il tenoreNigel Rogers e
il soprano Emma Kirkby.
In quei decenni, lo "stato dell'arte" nel campo delle ricerche dalla prassi
esecutiva storica trovò espressione nel manuale di Robert Donington A
Performer’s Guide to Baroque Music[8],
che faceva seguito al più voluminoso The Interpretation of Early Music[9] dello
stesso autore. Fra gli esempi più illustri ed influenti di esecuzioni "con
strumenti antichi" di quegli anni si possono annoverare l'incisione
integrale delle cantate di Bach[10] realizzata
fra il 1971 e il 1990 dai direttori d'orchestra Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonhardt,
e l'incisione dei concerti dell'op. 8 Il Cimento dell'Armonia e
dell'Inventione di Antonio Vivaldi da
parte del Concentus Musicus Wien diretto da
Harnoncourt (1977)[11].
Nel 1973 fu
fondata la rivista Early Music, pubblicata dalla Oxford University Press, tuttora considerata
la più autorevole del settore e che, fin dai suoi esordi, è stata un punto di
riferimento tanto per i musicologi quanto per gli esecutori.
Nel
corso degli anni ottanta e novanta si
sono moltiplicati progressivamente in tutta Europa, negli USA e
in Giappone i
complessi vocali e strumentali specializzati nei vari aspetti di questo vasto
ambito musicale (vedi lista di ensemble di musica barocca e lista di ensemble di musica antica),
sono nate riviste specializzate, festival e stagioni concertistiche, e un
mercato discografico specifico. Le conoscenze in campo interpretativo,
organologico e tecnico si sono notevolmente accresciute, permettendo di
archiviare la fase pionieristica in cui qualunque cosa veniva eseguita con flauto dolce, clavicembalo e viola da gamba.
Il concetto di historically informed performance[12] ha
preso il posto di quello di authenticity, ed è stato applicato
anche al repertorio classico e romantico. Diversi interpreti hanno esplorato
nelle loro esecuzioni i rapporti fra la musica medievale europea e tradizioni
musicali di origine extra-europea, particolarmente la musica arabo-andalusa[13];
sono anche state proposte suggestive commistioni fra musica antica e musica
contemporanea[14].
Rispetto
agli "anni ruggenti" (settanta-ottanta) si osserva oggi un cospicuo innalzamento del livello
professionistico medio in questo repertorio, ma parallelamente si osserva una
riduzione - fin quasi alla scomparsa - della pratica amatoriale della musica
antica, che era stato un elemento caratterizzante del movimento dell'early
music fin dai tempi di Dolmetsch.
La
notazione musicale moderna (stabilizzatasi nel XIX secolo)
fornisce un'indicazione precisa dell'altezza e della durata delle note, della misura della
battuta, della velocità a cui deve essere eseguita la
musica, degli strumenti a cui è destinata, e - nel caso
della musica vocale - della corrispondenza fra note e
sillabe del testo. Per quanto l'interpretazione del singolo esecutore abbia
comunque un certo margine per quanto riguarda gli effetti dinamici (che sono
indicati, ma solo qualitativamente) e di fraseggio, i brani scritti secondo
queste convenzioni di notazione lasciano poche incertezze in merito all'effetto
musicale inteso dal compositore.
Se
si considera la musica scritta nei secoli precedenti, viceversa, le fonti originali
(manoscritte,
riportano meno indicazioni quantitative.
Le
fonti più antiche, per quanto riguarda la musica europea occidentale di epocamedievale (a
partire dall'VIII secolo), usavano notazioni neumatiche di
tipo adiastematico[15],
di cui la notazione sangallese e quella metense sono
le più rappresentative. Queste notazioni non volevano fornire informazioni
sull'altezza dei suoni o sugli intervalli, visto che la melodia veniva
tramandata mnemonicamente da maestro a discepolo, ma offrivano precise e
dettagliate indicazioni ritmiche.
Oggi, la ricostruzione e l'esecuzione di queste musiche richiede competenzemusicologiche e paleografiche molto specifiche e approfondite, e si basa in larga misura sul confronto fra diverse fonti coeve e con fonti posteriori, che tuttavia lasciano ampio spazio a interpretazioni anche divergenti.
Nelle moderne edizioni di canto gregoriano, come nel Graduale Triplex, queste notazioni vengono riproposte per una comparazione sinottica.
Oggi, la ricostruzione e l'esecuzione di queste musiche richiede competenzemusicologiche e paleografiche molto specifiche e approfondite, e si basa in larga misura sul confronto fra diverse fonti coeve e con fonti posteriori, che tuttavia lasciano ampio spazio a interpretazioni anche divergenti.
Nelle moderne edizioni di canto gregoriano, come nel Graduale Triplex, queste notazioni vengono riproposte per una comparazione sinottica.
Nell'XI secolo compare
nei manoscritti la notazione quadrata,[16] che
permette di denotare l'altezza delle note,
ma non fornisce indicazioni di tipo ritmico. Con la comparsa della polifonia (XII - XIII secolo)
entrano gradualmente in uso diverse convenzioni per l'indicazione della durata
delle note. In compenso, nella notazione mensurale che si stabilizza nel
corso del XV secolo (e ancor più con l'introduzione della stampa a caratteri mobili nel XVI secolo)
l'indicazione della corrispondenza fra note e sillabe del testo cantato diventa
assai meno precisa. Fino al XIV secolo la
musica trascritta nei codici è esclusivamente vocale: gli strumenti, che
compaiono in abbondanza nell'iconografia, potevano essere occasionalmente usati per
accompagnare le voci, ma la musica strumentale propriamente detta (tipicamente
destinata alla danza)
inizia ad essere conservata nei manoscritti solo a partire dal XIV secolo;
la musica per strumenti melodici (che potevano essere indifferentemente
strumenti a corde o a fiato,
come risulta dall'iconografia) utilizza la notazione della musica vocale,
mentre per la musica destinata a strumenti a tastiera (l'organo,
e successivamente clavicembali eclavicordi)
si sviluppano notazioni apposite dette intavolature.
La
decifrazione delle fonti musicali del XIV e XV secolo richiede
competenze di paleografia musicale, e oggi anche i gruppi musicali
specializzati in questo repertorio usano per l'esecuzione trascrizioni in
notazione moderna, che si trovano nelle edizioni critiche pubblicate dai musicologi oppure
sono realizzate dagli stessi interpreti. Gli stessi manoscritti dell'epoca,
peraltro, non erano destinati all'esecuzione ma alla conservazione del
repertorio musicale (tutti i brani polifonici, ad esempio, sono scritti in
parti separate, che spesso occupano facciate diverse dello stesso foglio).
Nella trascrizione moderna, un problema sistematico e particolarmente
impegnativo deriva dall'uso della musica ficta,[17] ossia
di alterazioni(diesis e bemolli)
che venivano eseguite ma non indicate nei manoscritti: pur essendovi alcuni
criteri generali sull'inserimento di queste alterazioni aggiuntive, nella
maggior parte dei casi sono possibili soluzioni differenti: d'altra parte, si
ritrovano divergenze considerevoli nell'uso delle alterazioni nelle stesse
fonti originali, ad esempio quando si possono confrontare diverse trascrizioni
in intavolatura di uno stesso brano[18].
Le alterazioni occasionali continuarono ad essere in buona parte sottointese
fino a tutto il XVI secolo, ma il loro uso evolve nel tempo di pari passo con
l'emergere di un linguaggio "armonico"
nella composizione musicale. Più agevole, invece, è l'individuazione del tipo
di accordatura (pitagorica, mesotonica,ben
temperata ecc.) appropriata in ogni epoca, giacché su questo le fonti
sono abbondanti e circostanziate.
Uno
degli aspetti peculiari dell'interpretazione della musica antica sta proprio
nel fatto che già nell'opera di trascrizione dalle fonti originali sono
necessariamente compiute alcune fondamentali scelte interpretative, di cui
l'esecutore non può non essere consapevole, anche quando non è lui l'autore
della trascrizione. Pertanto l'esecutore deve essere in possesso di conoscenze
di tipo musicologico e paleografico; inoltre, fino a tutto il XVI secolo manca
l'indicazione dell'eventualeorganico strumentale. Nella musica
vocale (sacra e profana)
alcune parti non hanno un testo, il che fa ritenere che siano destinate a
strumenti (questo problema è trattato diffusamente più sotto); nella musica strumentale, se si
eccettuano le intavolature che sono destinate a uno strumento specifico,
compare al più l'indicazione "per ogni sorta di strumenti".
Nell'esecuzione moderna si riscontrano due tendenze distinte. Vi sono complessi
strumentali costituiti con un preciso organico (ad esempio, insiemi di flauti dolci,
di viole da gamba, di cornetti e tromboni,
ecc.), i quali scelgono brani adatti alle tessiture dei loro strumenti, senza necessariamente
tener conto della destinazione originale di tali musiche: questo riflette
peraltro una prassi tipica del XVI secolo.
Altri interpreti moderni perseguono invece progetti artistici e di ricerca
focalizzati su singoli autori o scuole musicali, anziché su una scelta a priori
dell'organico, e in questo caso l'impiego o meno degli strumenti, e la scelta
di questi, si basa su considerazioni (anche soggettive) di appropriatezza storica
ed acustica al
repertorio: si adottano pertanto organici variabili a seconda del brano. Questi
due atteggiamenti producono risultati talora molto diversi: l'esecuzione di una chanson polifonica
o di un mottetto con
un quartetto di flauti dolci, ad esempio, produce un risultato (non solo timbrico)
completamente diverso da un'esecuzione a cappella (cioè
con sole voci) oppure mista (con voci e strumenti, questi ultimi scelti in base
alle caratteristiche del singolo brano). Entro certi limiti, questo riflette
una caratteristica propria della produzione musicale di questi secoli, in cui
il concetto di "trascrizione" rispetto alla
"destinazione originale" non si può applicare come si farebbe per un
brano del XIX secolo.
.
Proprio
sulla base delle considerazioni di qui sopra, con la progressiva
specializzazione degli interpreti, si è assistito alla nascita di una figura
definita (anche nei programmi di formazione accademica) del "musicista
informato", a cui si chiede, oltre ad una padronanza indubbia dello
strumento, un solido bagaglio culturale, storico ed anche tecnico. La tendenza
negli anni più recenti è infatti quella di utilizzare direttamente fac-simili della
notazione originale, o copie "pulite", ovvero trascritte mantenendo
la scrittura originale. Questo perché gli ostacoli maggiori
nell'interpretazione delle fonti musicali antiche nascono proprio
dall'inadeguatezza della scrittura musicale moderna per rendere peculiarità
ritmiche che in notazione originale risaltano immediatamente. Il caso più
patente è quello della notazione manieristica italofrancese della fine del XIV,
la cosiddetta Ars subtilior, ma il discorso può essere
allargato alla musica di svariate epoche: ad esempio al repertorio fiammingo
del XV secolo, ma anche a repertori che apparentemente si dimostrano di più
semplice interpretazione, quali le frottole italiane della fine del
Quattrocento e dei primordi del XVI secolo, in cui la notazione moderna, con le
sue trascrizioni per battute, costringe all'uso di legature di valore
assolutamente estranee al pensiero musicale dell'epoca e distrugge
completamente la percezione dei diversi "cursus" retorici in uso al
tempo. Senza contare che la notazione moderna, per le stesse ragioni esposte,
rende meno evidenti all'esecutore le componenti proporzionali della musica del
Medioevo e del Rinascimento.
Per
quanto riguarda la musica di XVII e XVIII secolo,
la notazione musicale non pone veri e propri problemi di interpretazione
paleografica, e dalla metà del XVII secolo non richiede alcuna opera di
trascrizione (già le copie a stampa del XVI secolo possono
essere usate direttamente dall'esecutore moderno, con un moderato
addestramento, ma poiché tutti i brani erano scritti in parti separate, spesso
si preferisce usare una moderna trascrizione in partitura). Tuttavia anche in
quest'epoca si ritrovano convenzioni specifiche nella notazione del ritmo[19] e
delle formule di abbellimento, che differiscono dalle convenzioni
odierne (le edizioni moderne in cui abbellimenti e fraseggi sono stati
"tradotti" o inseriti di sana pianta dal revisore sono da
considerarsi di interesse puramente didattico o amatoriale, e non di rado
contengono vistosi errori). Gli spartiti di quest'epoca indicano con precisione
l'organico strumentale a cui il brano è destinato, ma si deve considerare che
tutti gli strumenti musicali avevano fino al XIX secolo caratteristiche
costruttive e tecniche di emissione e fraseggio notevolmente diverse da quelle
moderne[20].
Del
bagaglio tecnico di un musicista rinascimentale o barocco faceva parte anche la
capacità di improvvisare, in contesti ben definiti. Nel tardo Rinascimento era
diffusa la pratica del sonare artificioso: una chanson francese
o un madrigale erano eseguiti da uno strumento acuto (flauto, cornetto o
violino, con l'accompagnamento di liuto o spinetta che eseguivano le altre
parti), oppure da uno strumento a tastiera solo, con una straordinaria
abbondanza di fioriture improvvisate dette passaggi o diminuzioni(vedi
la voce Abbellimento). Similmente, i virtuosi di strumenti più gravi
(in particolare la viola da gamba) usavano realizzare all'impronta passaggi
virtuosistici, che attraversavano l'estensione di più voci (parti
"bastarde"), sopra brani polifonici o su sequenze accordali tipiche
(a loro volta mutuate da canzoni o danze di grande diffusione, come "passamezzo",
"passacagli", "follia", "la gamba", "l'aria
del Granduca", "la romanesca" e molte altre). Se per l'esecutore
moderno della musica antica è una libera scelta quella di inserire o meno
questi elementi di improvvisazione,[21] non
è invece eludibile l'intervento di realizzazione dell'accompagnamento per le
sonate o cantate con basso continuo di epoca barocca. In questo
vastissimo repertorio, la parte riservata allo strumento a tastiera (organo,
clavicembalo, tiorba o arpa) è scritta solo limitatamente alla linea del basso,
con l'aggiunta di cifre che indicano sommariamente gli accordi che devono
essere realizzati; ma questi accordi possono essere eseguiti in molti modi, e
di fatto la realizzazione del basso continuo implica l'aggiunta (improvvisata)
alla composizione di almeno due o tre voci, per le quali si deve tener conto
non solo dell'armonia, ma anche delle regole del contrappunto.[22]
Per
l'epoca barocca esistono molti trattati di tecnica dei singoli strumenti, che
affrontano anche gli aspetti interpretativi, tuttavia lo spazio di intervento
autonomo assegnato all'esecutore resta relativamente ampio, e può condurre -
pur nel rispetto delle indicazioni fornite dalle fonti dell'epoca - ad esiti
molto diversi. In anni recenti, la ricerca in questo campo si è estesa anche
all'esecuzione del repertorio classico e
del primo romanticismo, mettendo talvolta in discussione
tradizioni esecutive consolidatesi in epoca tardo-romantica.
Sulla
base di queste osservazioni si può comprendere come il concetto di
"esecuzione filologica", sovente associato all'idea di "musica
antica", si possa interpretare in modi molto differenti. Il criterio di
"uso degli strumenti antichi" è sicuramente importante (anche se
talvolta applicato con una certa disinvoltura, usando ad esempio flauti dolci e
viole da gamba di modello seicentesco anche per la musica del XIV secolo),
non solo per l'effetto timbrico risultante, ma soprattutto perché l'uso degli
strumenti dell'epoca (e delle relative tecniche di diteggiatura, arcata, ecc.)
permette spesso di risolvere dubbi interpretativi che altrimenti resterebbero
senza risposta. Tuttavia il solo fatto di ricorrere all'uso di strumenti
musicali storicamente attestati e di basarsi su regole enunciate nei trattati
dell'epoca (trattati che sono di carattere prevalentemente teorico fino al XVI secolo)
non garantisce né il raggiungimento di una qualità musicale adeguata, né la
reale ricostruzione "archeologica" di un'esecuzione dell'epoca:
quest'ultimo obiettivo, in particolare, è irraggiungibile sia per
l'incompletezza dei dati in nostro possesso, sia perché le condizioni di
ascolto e il retaggio culturale di un ascoltatore odierno sono radicalmente
diversi. Quindi l'obiettivo che un'esecuzione "storicamente
consapevole" può conseguire è piuttosto quello di una complessiva coerenza delle
scelte interpretative ed esecutive, per offrire all'ascoltatore una lettura ben
definita e comprensibile, aderente a ciò che conosciamo del contesto artistico
e sociale dell'epoca, ma non privata di quegli elementi espressivi, suggestivi
ed emotivi che anche nei secoli passati sono stati presenti in ogni forma
musicale.
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