martedì 29 maggio 2012

Musica antica


Musica antica
Per musica antica si intende generalmente la musica europea che va dal medioevoal rinascimento; frequentemente, soprattutto nell'area anglosassone (dove il concetto di "early music" è nato), si include in questo termine anche la musica barocca.[1] La "musica antica", tuttavia, non è una categoria storico-musicale, dato che copre un arco di secoli non ben definito, e una produzione molto vasta ed eterogenea: si è inteso con questo nome, soprattutto a partire dagli anni '50-'60, l'insieme delle musiche per cui si era interrotta da secoli la tradizione esecutiva. Ciò che ha inizialmente distinto la "musica antica" nell'ambito della "musica classica" (in senso lato) è quindi il fatto che la sua esecuzione moderna si basa sull'impiego distrumenti musicali "storici" e su una ricerca musicologica che attinge direttamente alle fonti originali. Negli ultimi anni, essendosi succedute diverse generazioni di musicisti nella riscoperta della musica antica, anche per questa si può parlare ormai di una "tradizione esecutiva" (seppure non risalente all'epoca delle composizioni), oggetto di insegnamento nelle normali sedi accademiche, soprattutto fuori d'Italia; tuttavia, la formazione e l'approccio interpretativo dei musicisti specializzati in musica antica presentano tuttora molti elementi distintivi, che risultano evidenti nelle loro esecuzioni.
La riscoperta della musica antica 
La riscoperta del repertorio barocco e pre-barocco ha sporadici ma significativi precedenti nel XIX secolo e anche nel secolo precedente. Già nel 1726 fu costituita a Londra la Academy of Ancient Music, con lo scopo di coltivare lo studio del repertorio polifonico del XVI secolo. La stessa Accademia assicurò il mantenimento in repertorio delle opere dei maggiori compositori barocchi (in primo luogo Händel, ma ancheCorelliPepusch e Pergolesi). Nel 1829 ebbe luogo a Berlino la celebre esecuzione della Passione secondo Matteo di Bach, sotto la direzione di Felix Mendelssohn. Tuttavia, nel riportare in vita partiture risalenti a cent'anni prima, non fu seguito un approccio "filologico":
Nell'ambito della musica liturgica, la benedettina Abbazia di Solesmes diede inizio attorno al 1840 ad un'opera sistematica di riforma della tradizione esecutiva del canto gregoriano, con la volontà di riportarlo alla sua originale dimensione di canto monodico non misurato, in contrasto con la pratica, affermatasi già a partire dal XVI secolo, di eseguire i canti liturgici secondo una rigida scansione ritmica e con l'accompagnamento di un basso continuo.
La ricostruzione della prassi esecutiva storica è invece l'elemento caratteristico del movimento iniziato verso il 1890 da Arnold Dolmetsch, a Londra. Il saggio di Dolmetsch The Interpretation of the Music of the XVII and XVIII Centuries[2](1915) si può considerare l'atto di avvio del movimento dell'early music nel XX secolo. Oltre allo studio interpretativo e stilistico, nell'opera pionieristica di Dolmetsch ebbe largo spazio la ricostruzione degli strumenti barocchi, in particolare la riscoperta del flauto dolce e della viola da gamba. Allo stesso Dolmetsch si deve l'introduzione del concetto di authenticity[3] che è stato per lungo tempo la parola-chiave per i cultori della musica antica. Questo concetto, che implicitamente bollava come "infedele" la lettura del repertorio barocco da parte delle orchestre e dei solisti formati nel solco della tradizione ottocentesca, sollevò fin da quegli anni vivaci polemiche. Di fatto, proprio l'approfondimento delle conoscenze storiche ha spesso mostrato i limiti di validità di alcuni dei paradigmi inizialmente formulati in nome dell'autenticità. Per quanto utopistica ed elitaria, tuttavia, proprio la forte contrapposizione alla prassi di impronta tardo-romantica ha potenziato l'impatto innovativo del movimento dell'early music.
Negli stessi anni, Wanda Landowska riproponeva per la prima volta l'esecuzione sul clavicembalo delle opere del XVIII secolo (in particolare le Variazioni Goldberg di Bach). La stessa Landowska scrisse nel 1909 il trattato Musique ancienne[4], e fondò in Francia nel 1925 una École de Musique Ancienne; la guerra la costrinse ad abbandonare nel 1940 la scuola, e successivamente a trasferirsi negli Stati Uniti. Le scelte stilistiche e tecniche[5] di Wanda Landowska furono caratterizzate da una grande libertà interpretativa[6] e da una significativa contiguità con la rilettura e appropriazione del repertorio antico da parte della corrente neoclassicista del primo novecento.
Il primo centro di insegnamento e ricerca consacrato alla musica antica, secondo il nuovo spirito "filologico", fu la Schola Cantorum Basiliensis, fondata nel 1933 da Paul Sacher e dal violista August Wenzinger. Nel 1946 fu fondata in Inghilterra la Galpin Society, dedicata allo studio e alla ricostruzione degli strumenti antichi.[7]. Dopo la seconda guerra mondiale, e segnatamente negli anni sessanta-settanta, il revival della musica antica interessò, oltre all'Inghilterra (con le figure dominanti di Alfred Deller e David Munrow), soprattutto i Paesi Bassi (con Gustav LeonhardtFrans Brüggen e Anner Bijlsma in Olanda, e i tre fratelliSigiswaldWieland e Barthold Kuijken in Belgio) e l'Austria (con Nikolaus Harnoncourt eRené Clemencic). Contributi significativi alla riscoperta della musica medievale vennero inoltre da Konrad RuhlandAndrea von RammThomas BinkleyPaul Hillier e altri. Nel campo della musica vocale emersero negli stessi anni i primi cantanti specializzati nel repertorio antico: fra questi, oltre ad Alfred Deller, i controtenori Paul Esswood e James Bowman, il tenoreNigel Rogers e il soprano Emma Kirkby. In quei decenni, lo "stato dell'arte" nel campo delle ricerche dalla prassi esecutiva storica trovò espressione nel manuale di Robert Donington A Performer’s Guide to Baroque Music[8], che faceva seguito al più voluminoso The Interpretation of Early Music[9] dello stesso autore. Fra gli esempi più illustri ed influenti di esecuzioni "con strumenti antichi" di quegli anni si possono annoverare l'incisione integrale delle cantate di Bach[10] realizzata fra il 1971 e il 1990 dai direttori d'orchestra Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonhardt, e l'incisione dei concerti dell'op. 8 Il Cimento dell'Armonia e dell'Inventione di Antonio Vivaldi da parte del Concentus Musicus Wien diretto da Harnoncourt (1977)[11]. Nel 1973 fu fondata la rivista Early Music, pubblicata dalla Oxford University Press, tuttora considerata la più autorevole del settore e che, fin dai suoi esordi, è stata un punto di riferimento tanto per i musicologi quanto per gli esecutori.
Nel corso degli anni ottanta e novanta si sono moltiplicati progressivamente in tutta Europa, negli USA e in Giappone i complessi vocali e strumentali specializzati nei vari aspetti di questo vasto ambito musicale (vedi lista di ensemble di musica barocca e lista di ensemble di musica antica), sono nate riviste specializzate, festival e stagioni concertistiche, e un mercato discografico specifico. Le conoscenze in campo interpretativo, organologico e tecnico si sono notevolmente accresciute, permettendo di archiviare la fase pionieristica in cui qualunque cosa veniva eseguita con flauto dolceclavicembalo e viola da gamba. Il concetto di historically informed performance[12] ha preso il posto di quello di authenticity, ed è stato applicato anche al repertorio classico e romantico. Diversi interpreti hanno esplorato nelle loro esecuzioni i rapporti fra la musica medievale europea e tradizioni musicali di origine extra-europea, particolarmente la musica arabo-andalusa[13]; sono anche state proposte suggestive commistioni fra musica antica e musica contemporanea[14].
Rispetto agli "anni ruggenti" (settanta-ottanta) si osserva oggi un cospicuo innalzamento del livello professionistico medio in questo repertorio, ma parallelamente si osserva una riduzione - fin quasi alla scomparsa - della pratica amatoriale della musica antica, che era stato un elemento caratterizzante del movimento dell'early music fin dai tempi di Dolmetsch.
La notazione musicale moderna (stabilizzatasi nel XIX secolo) fornisce un'indicazione precisa dell'altezza e della durata delle note, della misura della battuta, della velocità a cui deve essere eseguita la musica, degli strumenti a cui è destinata, e - nel caso della musica vocale - della corrispondenza fra note e sillabe del testo. Per quanto l'interpretazione del singolo esecutore abbia comunque un certo margine per quanto riguarda gli effetti dinamici (che sono indicati, ma solo qualitativamente) e di fraseggio, i brani scritti secondo queste convenzioni di notazione lasciano poche incertezze in merito all'effetto musicale inteso dal compositore.
Se si considera la musica scritta nei secoli precedenti, viceversa, le fonti originali (manoscritte, riportano meno indicazioni quantitative.
Le fonti più antiche, per quanto riguarda la musica europea occidentale di epocamedievale (a partire dall'VIII secolo), usavano notazioni neumatiche di tipo adiastematico[15], di cui la notazione sangallese e quella metense sono le più rappresentative. Queste notazioni non volevano fornire informazioni sull'altezza dei suoni o sugli intervalli, visto che la melodia veniva tramandata mnemonicamente da maestro a discepolo, ma offrivano precise e dettagliate indicazioni ritmiche.
Oggi, la ricostruzione e l'esecuzione di queste musiche richiede competenzemusicologiche e paleografiche molto specifiche e approfondite, e si basa in larga misura sul confronto fra diverse fonti coeve e con fonti posteriori, che tuttavia lasciano ampio spazio a interpretazioni anche divergenti.
Nelle moderne edizioni di canto gregoriano, come nel Graduale Triplex, queste notazioni vengono riproposte per una comparazione sinottica.
Nell'XI secolo compare nei manoscritti la notazione quadrata,[16] che permette di denotare l'altezza delle note, ma non fornisce indicazioni di tipo ritmico. Con la comparsa della polifonia (XII - XIII secolo) entrano gradualmente in uso diverse convenzioni per l'indicazione della durata delle note. In compenso, nella notazione mensurale che si stabilizza nel corso del XV secolo (e ancor più con l'introduzione della stampa a caratteri mobili nel XVI secolo) l'indicazione della corrispondenza fra note e sillabe del testo cantato diventa assai meno precisa. Fino al XIV secolo la musica trascritta nei codici è esclusivamente vocale: gli strumenti, che compaiono in abbondanza nell'iconografia, potevano essere occasionalmente usati per accompagnare le voci, ma la musica strumentale propriamente detta (tipicamente destinata alla danza) inizia ad essere conservata nei manoscritti solo a partire dal XIV secolo; la musica per strumenti melodici (che potevano essere indifferentemente strumenti a corde o a fiato, come risulta dall'iconografia) utilizza la notazione della musica vocale, mentre per la musica destinata a strumenti a tastiera (l'organo, e successivamente clavicembali eclavicordi) si sviluppano notazioni apposite dette intavolature.
La decifrazione delle fonti musicali del XIV e XV secolo richiede competenze di paleografia musicale, e oggi anche i gruppi musicali specializzati in questo repertorio usano per l'esecuzione trascrizioni in notazione moderna, che si trovano nelle edizioni critiche pubblicate dai musicologi oppure sono realizzate dagli stessi interpreti. Gli stessi manoscritti dell'epoca, peraltro, non erano destinati all'esecuzione ma alla conservazione del repertorio musicale (tutti i brani polifonici, ad esempio, sono scritti in parti separate, che spesso occupano facciate diverse dello stesso foglio). Nella trascrizione moderna, un problema sistematico e particolarmente impegnativo deriva dall'uso della musica ficta,[17] ossia di alterazioni(diesis e bemolli) che venivano eseguite ma non indicate nei manoscritti: pur essendovi alcuni criteri generali sull'inserimento di queste alterazioni aggiuntive, nella maggior parte dei casi sono possibili soluzioni differenti: d'altra parte, si ritrovano divergenze considerevoli nell'uso delle alterazioni nelle stesse fonti originali, ad esempio quando si possono confrontare diverse trascrizioni in intavolatura di uno stesso brano[18]. Le alterazioni occasionali continuarono ad essere in buona parte sottointese fino a tutto il XVI secolo, ma il loro uso evolve nel tempo di pari passo con l'emergere di un linguaggio "armonico" nella composizione musicale. Più agevole, invece, è l'individuazione del tipo di accordatura (pitagorica, mesotonica,ben temperata ecc.) appropriata in ogni epoca, giacché su questo le fonti sono abbondanti e circostanziate.
Uno degli aspetti peculiari dell'interpretazione della musica antica sta proprio nel fatto che già nell'opera di trascrizione dalle fonti originali sono necessariamente compiute alcune fondamentali scelte interpretative, di cui l'esecutore non può non essere consapevole, anche quando non è lui l'autore della trascrizione. Pertanto l'esecutore deve essere in possesso di conoscenze di tipo musicologico e paleografico; inoltre, fino a tutto il XVI secolo manca l'indicazione dell'eventualeorganico strumentale. Nella musica vocale (sacra e profana) alcune parti non hanno un testo, il che fa ritenere che siano destinate a strumenti (questo problema è trattato diffusamente più sotto); nella musica strumentale, se si eccettuano le intavolature che sono destinate a uno strumento specifico, compare al più l'indicazione "per ogni sorta di strumenti". Nell'esecuzione moderna si riscontrano due tendenze distinte. Vi sono complessi strumentali costituiti con un preciso organico (ad esempio, insiemi di flauti dolci, di viole da gamba, di cornetti e tromboni, ecc.), i quali scelgono brani adatti alle tessiture dei loro strumenti, senza necessariamente tener conto della destinazione originale di tali musiche: questo riflette peraltro una prassi tipica del XVI secolo. Altri interpreti moderni perseguono invece progetti artistici e di ricerca focalizzati su singoli autori o scuole musicali, anziché su una scelta a priori dell'organico, e in questo caso l'impiego o meno degli strumenti, e la scelta di questi, si basa su considerazioni (anche soggettive) di appropriatezza storica ed acustica al repertorio: si adottano pertanto organici variabili a seconda del brano. Questi due atteggiamenti producono risultati talora molto diversi: l'esecuzione di una chanson polifonica o di un mottetto con un quartetto di flauti dolci, ad esempio, produce un risultato (non solo timbrico) completamente diverso da un'esecuzione a cappella (cioè con sole voci) oppure mista (con voci e strumenti, questi ultimi scelti in base alle caratteristiche del singolo brano). Entro certi limiti, questo riflette una caratteristica propria della produzione musicale di questi secoli, in cui il concetto di "trascrizione" rispetto alla "destinazione originale" non si può applicare come si farebbe per un brano del XIX secolo.
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Proprio sulla base delle considerazioni di qui sopra, con la progressiva specializzazione degli interpreti, si è assistito alla nascita di una figura definita (anche nei programmi di formazione accademica) del "musicista informato", a cui si chiede, oltre ad una padronanza indubbia dello strumento, un solido bagaglio culturale, storico ed anche tecnico. La tendenza negli anni più recenti è infatti quella di utilizzare direttamente fac-simili della notazione originale, o copie "pulite", ovvero trascritte mantenendo la scrittura originale. Questo perché gli ostacoli maggiori nell'interpretazione delle fonti musicali antiche nascono proprio dall'inadeguatezza della scrittura musicale moderna per rendere peculiarità ritmiche che in notazione originale risaltano immediatamente. Il caso più patente è quello della notazione manieristica italofrancese della fine del XIV, la cosiddetta Ars subtilior, ma il discorso può essere allargato alla musica di svariate epoche: ad esempio al repertorio fiammingo del XV secolo, ma anche a repertori che apparentemente si dimostrano di più semplice interpretazione, quali le frottole italiane della fine del Quattrocento e dei primordi del XVI secolo, in cui la notazione moderna, con le sue trascrizioni per battute, costringe all'uso di legature di valore assolutamente estranee al pensiero musicale dell'epoca e distrugge completamente la percezione dei diversi "cursus" retorici in uso al tempo. Senza contare che la notazione moderna, per le stesse ragioni esposte, rende meno evidenti all'esecutore le componenti proporzionali della musica del Medioevo e del Rinascimento.
Per quanto riguarda la musica di XVII e XVIII secolo, la notazione musicale non pone veri e propri problemi di interpretazione paleografica, e dalla metà del XVII secolo non richiede alcuna opera di trascrizione (già le copie a stampa del XVI secolo possono essere usate direttamente dall'esecutore moderno, con un moderato addestramento, ma poiché tutti i brani erano scritti in parti separate, spesso si preferisce usare una moderna trascrizione in partitura). Tuttavia anche in quest'epoca si ritrovano convenzioni specifiche nella notazione del ritmo[19] e delle formule di abbellimento, che differiscono dalle convenzioni odierne (le edizioni moderne in cui abbellimenti e fraseggi sono stati "tradotti" o inseriti di sana pianta dal revisore sono da considerarsi di interesse puramente didattico o amatoriale, e non di rado contengono vistosi errori). Gli spartiti di quest'epoca indicano con precisione l'organico strumentale a cui il brano è destinato, ma si deve considerare che tutti gli strumenti musicali avevano fino al XIX secolo caratteristiche costruttive e tecniche di emissione e fraseggio notevolmente diverse da quelle moderne[20].
Del bagaglio tecnico di un musicista rinascimentale o barocco faceva parte anche la capacità di improvvisare, in contesti ben definiti. Nel tardo Rinascimento era diffusa la pratica del sonare artificioso: una chanson francese o un madrigale erano eseguiti da uno strumento acuto (flauto, cornetto o violino, con l'accompagnamento di liuto o spinetta che eseguivano le altre parti), oppure da uno strumento a tastiera solo, con una straordinaria abbondanza di fioriture improvvisate dette passaggi o diminuzioni(vedi la voce Abbellimento). Similmente, i virtuosi di strumenti più gravi (in particolare la viola da gamba) usavano realizzare all'impronta passaggi virtuosistici, che attraversavano l'estensione di più voci (parti "bastarde"), sopra brani polifonici o su sequenze accordali tipiche (a loro volta mutuate da canzoni o danze di grande diffusione, come "passamezzo", "passacagli", "follia", "la gamba", "l'aria del Granduca", "la romanesca" e molte altre). Se per l'esecutore moderno della musica antica è una libera scelta quella di inserire o meno questi elementi di improvvisazione,[21] non è invece eludibile l'intervento di realizzazione dell'accompagnamento per le sonate o cantate con basso continuo di epoca barocca. In questo vastissimo repertorio, la parte riservata allo strumento a tastiera (organo, clavicembalo, tiorba o arpa) è scritta solo limitatamente alla linea del basso, con l'aggiunta di cifre che indicano sommariamente gli accordi che devono essere realizzati; ma questi accordi possono essere eseguiti in molti modi, e di fatto la realizzazione del basso continuo implica l'aggiunta (improvvisata) alla composizione di almeno due o tre voci, per le quali si deve tener conto non solo dell'armonia, ma anche delle regole del contrappunto.[22]
Per l'epoca barocca esistono molti trattati di tecnica dei singoli strumenti, che affrontano anche gli aspetti interpretativi, tuttavia lo spazio di intervento autonomo assegnato all'esecutore resta relativamente ampio, e può condurre - pur nel rispetto delle indicazioni fornite dalle fonti dell'epoca - ad esiti molto diversi. In anni recenti, la ricerca in questo campo si è estesa anche all'esecuzione del repertorio classico e del primo romanticismo, mettendo talvolta in discussione tradizioni esecutive consolidatesi in epoca tardo-romantica.
Sulla base di queste osservazioni si può comprendere come il concetto di "esecuzione filologica", sovente associato all'idea di "musica antica", si possa interpretare in modi molto differenti. Il criterio di "uso degli strumenti antichi" è sicuramente importante (anche se talvolta applicato con una certa disinvoltura, usando ad esempio flauti dolci e viole da gamba di modello seicentesco anche per la musica del XIV secolo), non solo per l'effetto timbrico risultante, ma soprattutto perché l'uso degli strumenti dell'epoca (e delle relative tecniche di diteggiatura, arcata, ecc.) permette spesso di risolvere dubbi interpretativi che altrimenti resterebbero senza risposta. Tuttavia il solo fatto di ricorrere all'uso di strumenti musicali storicamente attestati e di basarsi su regole enunciate nei trattati dell'epoca (trattati che sono di carattere prevalentemente teorico fino al XVI secolo) non garantisce né il raggiungimento di una qualità musicale adeguata, né la reale ricostruzione "archeologica" di un'esecuzione dell'epoca: quest'ultimo obiettivo, in particolare, è irraggiungibile sia per l'incompletezza dei dati in nostro possesso, sia perché le condizioni di ascolto e il retaggio culturale di un ascoltatore odierno sono radicalmente diversi. Quindi l'obiettivo che un'esecuzione "storicamente consapevole" può conseguire è piuttosto quello di una complessiva coerenza delle scelte interpretative ed esecutive, per offrire all'ascoltatore una lettura ben definita e comprensibile, aderente a ciò che conosciamo del contesto artistico e sociale dell'epoca, ma non privata di quegli elementi espressivi, suggestivi ed emotivi che anche nei secoli passati sono stati presenti in ogni forma musicale.

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